L’aura mediocritas è il giusto mezzo, l’ottimale moderazione, dicono alcuni: oggi è divenuta traduzione letterale, aurea mediocrità. Quella in cui hanno preteso di crescerci, in cui pretendono esistiamo perché noi non siamo nulla di speciale. E ci dobbiamo accontentare.
Be’, fanculo.
E questa ventata d’ottimismo fa il paio con quelle schiere di rigidi pensatori che avvelenano la blogosfera, e il mondo. Ma di questi mi riservo di parlare in un post a parte.
Siamo alle solite, come sempre la predica sulla moderazione viene da chi, in vita sua, non ha mai osato pensare. Perché è il pensiero a fare la differenza.
Hanno tentato di farci credere che pensare sia sbagliato, essere diversi sia sbagliato, che uniformarsi, anima e corpi (magri, snelli e tonici) sia l’unica strategia accettabile di esistenza. E ci sono riusciti. Persino con gente che, un tempo, ritenevo in gamba, indomabili. Ma con me no. E con pochi altri no. Siamo la cosiddetta viariante impazzita, quella che non si sottomette a queste stronzate, perché tali sono è ora di dirlo, neppure se portati dinanzi al patibolo.
Io mi dovrei accontentare di un’esistenza anonima e mediocre, perché questa sarebbe la mia vita? Ma che cazzo state dicendo?
Siete voi a essere morti, dentro e fuori. Munitevi di conforti religiosi e sparite, oppure tacete, che è meglio. Ma non venite ad avvelenare la mia esistenza, così bella, mutevole, fantastica, piena di mostri e fantasie, di bellissime donne, di passione.
Rassegnatevi, non mi avrete mai. E proprio perché rifulgo d’incoscienza, non penso alla pensione (che mai avrò), non mi responsabilizzo, qualunque cosa pensiate voglia dire, questa forma verbale, m’invidiate e, non potendomi avere, mi odiate.
Vi ho capito.
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Questo post nasce da amare riflessioni di un amico. Non vi dirò chi è. Se vuole, lo farà lui. Ma sono riflessioni che non appartengono solo a lui, ma a noi tutti. Quei pochi citati all’inizio.
I mediocri arrivano a limitare l’esistenza libera, che loro non riescono a controllare, a responsabilizzare come vorrebbero, togliendo tutto ciò che è imprevedibile e sciocco (secondo loro), che, in definitiva, non riescono a comprendere.
Conosciamo il loro aspetto: il parente, il cugino che s’è inserito, che c’è la fatta, che ha fatto i soldi e messo su una famiglia con figli, divano e maxi-televisore del cazzo (cit.); l’amico che, un tempo, la pensava proprio come voi, finché non è andato a vendere la libertà del pensiero per 800 euro al mese, ma ehi, cazzo, almeno lui si da da fare e non pensa a quelle stronzate per poppanti; la zia che, ehi, hai trentacinque anni e ancora non ti sei sposato, ma che, sei gay? Ti piacciono le donne?
Menti mediocri utilizzano idee mediocri, perché incapaci di generarne di proprie. A quel punto le mutuano dalle riviste, dalla televisione, da chi le genera per loro.
Siamo in una distopia, rendiamocene conto. La distopia in cui i mediocri si credono sovrani, ma sono solo esecutori di chi li vuole come le vacche indù: bonari e arrendevoli. L’atarassia, la liberazione da ogni passione. Un tempo credevo fosse una cosa figa…
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Non abbiamo futuro. C’è la crisi. Questa vita è andata così. E tutta questa rassegnazione senza nemmeno pensare di poter cambiare le cose?
Siete morti. Per cui siete oggetti. E gli oggetti non parlano. Tacete, quindi. E lasciate il passo a chi questo stato di cose, questa aurea mediocritas dalla quale non riuscite più a uscire per la paura dell’ignoto, l’angoscia che vi spezza le gambe, non l’ha mai accettata, per indole, natura, perché è ineluttabile.
Vado pazzo per i raccontini che scrivo, per le mie fidanzate immaginarie, per le donne (vere, reali, vere donne) che amo e che mi amano. Sogno di mondi stupendi che voi mediocri non siete capaci di concepire.
Potete solo invidiarmi e odiarmi. Sfottermi, tentare d’abbattermi coi vostri ragionamenti patetici e idioti, responsabili, in definitiva, aggettivo che amate. Potete provarci. E l’unico risultato che otterrete sarà questo: lo sfogo di un post, che mi sottrare a quei magnifici universi di poc’anzi.
Mi avete distratto per qualche minuto, ancora. Ma la vostra misera voce è sempre più flebile… non la sento già più.
Poche parole, per voi incapaci di comprendere, di pensare un modo diverso di esistere.
Levatevi dalle palle, definitivamente. Io non v’ho mai cercato, siete voi che venite a importunarmi. Per come la vedo io, mi dovete decine di giorni di vita, che m’avete rubato. E, anche se posso compatirvi, non vi perdono per questo.
Pagate il vostro debito, quindi. Solo allora saremo pari. Ma non vorrà dire che diventeremo amici. Semplicemente, avremo ristabilito la bilancia cosmica. Tenetevi la vostra paura, i vostri dubbi, la vostra miseria intellettuale, la vostra povertà di spirito: quelli sono i vostri doni al mondo. E ora, mi raccomando, domandatevi perché le cose fanno tanto schifo. Magari qualcuno ci arriva, all’unica risposta possibile.