Sono cambiata, anche il mio modo di scrivere è cambiato. Non sento più la gioia o l’allegria di una volta nelle mie parole. Ho perso l’entusiasmo. Lo stupore. La meraviglia. L’ingenuità.
Da più di un anno si è appiccicata una patina scura sul mio essere. Mi si è incollata addosso tutta questa polvere. La trovo ovunque in me.
Strati accumulati di fuliggine di dolore.
Come incrostazioni di sale grigio sugli scogli.
Depositi di grasso intorno al cuore.
E questa triste corazza non mi fa sentire più forte nè più sicura. Anzi.
Mi appesantisce.
E mi fa guardare gli altri con strano sospetto.
Le rare volte che li guardo, gli altri.
Già, sento di aver perso qualsiasi interesse o curiosità nei confronti del prossimo, negli esseri umani.
Nessuna fiducia che domani o tra un mese o fra dieci anni o nella prossima vita mi stupiscano con qualcosa di positivo, per esempio ricominciando a rispettare la natura e tutti gli esseri viventi. Figuriamoci, spesso non siamo capaci di rispettare nemmeno noi stessi.
Ma c’è di più.
Non si tratta di una mera mancanza di interesse, quanto piuttosto di un’insofferenza profonda.
Un malessere inspiegabile mi coglie spesso quando per caso o per forza di cose mi trovo a dividere il mio spazio con altre persone, per lo più sconosciuti.
Esco pochissimo di casa. E mai senza gli auricolari. E la mia musica preferita, ovvio.
E così, puntualmente, mi ringrazio per averli presi, trovandomi ad esempio in una qualsiasi sala d’aspetto e sentendomi sollevata di poter evitare di ascoltare o peggio di essere coinvolta nel chiacchiericcio normalmente scialbo dei presenti.
Oppure, nel caos del supermercato, all’ikea o in luoghi dove si possa creare una fila più o meno lunga davanti alle casse, gli aggeggini si rivelano efficacissimi per difendermi dalle noiose inutili lamentele di quelli in coda. Come se per costoro aspettare due minuti che la cassiera faccia il suo lavoro sia una catastrofe irrimediabile che cambia la vita.
Anche quando, dopo una lontananza troppo lunga, mi trovo ad essere inevitabilmente calamitata dal mare, e mi concedo una passeggiata a riva, gli auricolari mi aiutano ad essere comunque sola come vorrei, sola con lui, per potergli confidare tutto quello che sento ogni volta che lo rivedo, il mare..
Indispensabili si rivelano poi anche in casa, quando, certamente troppo spesso, la vicina decide di sgridare una o entrambe le figlie. E lo fa sempre alla grande, non risparmia di certo la voce o gli improperi. Povere creature, costrette a subire una simile violenza verbale e psicologica. Le prime volte la pazza terrorizzava anche me oltre che le bambine. Nei primi momenti non potevo fare a meno di pensare fosse capitato qualcosa di tremendo, una disgrazia irreparabile. Ma dalle parole, anzi, a dire il vero, parolacce, si capiva abbastanza in fretta che, invece, si trattava solo di piccole e normalissime mancanze da bimbe, che venivano riprese però con rimproveri fatti a volume assurdo e con modalità esagerate anche per gli scaricatori di porto. Ho provato a far partire lo stereo ma, per coprire l’orrendo starnazzare, avrei dovuto alzare il volume talmente tanto che forse non mi sarebbe bastata tutta la manopola.
Ed invece, con gli ormai famosi auricolari, posso mandare su il volume finchè mi pare per entrare nella mia simil-pace, anche se l’insulso telefono ogni volta mi mette in guardia da imprecisati danni all’udito per aver aumentato a un valore al di sopra dei livelli di sicurezza…..
E sempre questi stessi attrezzi, gli auricolari, vengono in mio soccorso anche in caso di liti tra adulti, al piano di sopra. E non ne mancano. E non ne sono mai mancate.
E di sicuro, quando raramente viaggio in treno, la prima cosa che faccio dopo essermi seduta è metterli su. E pensare che una volta mi piaceva chiacchierare con casuali compagni di viaggio. Pensavo ci fosse sempre qualcosa da imparare nel confronto con altre persone, anche se superficiale e poco impegnativo come una conversazione da scompartimento.
Ma cosa voglio, e chi credo di essere, mi sento poi così superiore agli altri?
No, non è così, ci mancherebbe. Mi sento soltanto una che vuole essere lasciata per quanto possibile nella sua pseudopace.
So che mai più sarò come prima. E che non sarà mai più la stessa cosa. Nemmeno se decideremo di andare via di nuovo, e nemmeno se, un giorno lontano non so quanto, riusciremo a tornare a Cefalonia.
Ma comunque sia, per adesso, potreste per favore lasciarmi qui??
Greta
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