Il campo di concentramento si trova a circa un’ora e mezza dal centro di Cracovia con l’autobus privato, mentre con l’autobus di linea circa due ore e l’ho raggiunto in una giornata umida e grigia, proprio come il mio umore, sapendo che ciò che avrei visto mi avrebbe segnato il cuore per sempre.
Giunto a destinazione ho varcato un cancello laterale che conduce nella zona della biglietteria per l’acquisto delle audio guide o per prenotare una visita con una guida in italiano; abbiamo optato per la visita guidata, sia per il costo irrisorio (circa dieci euro a persona), sia per la mancanza di audio guide in lingua italiana.
All’appuntamento eravamo una quindicina di persone e a condurci attraverso i vari edifici del complesso è stata una donna matura che con la voce seria, triste e a tratti spezzata dalla commozione
ci ha raccontato l’incredibile quanto assurdo svolgimento dei fatti e tutte le brutalità avvenute all’interno di quel campo di concentramento che è stato erroneamente chiamato da Obama come campo
di concentramento polacco e ha suscitato le ire di tutta una nazione che non ha mai ricevuto le dovute scuse.
L’ingresso avviene da un cancello che in alto riporta una cinica scritta in ferro battuto “Arbeit macht frei” che tradotto significa “Il lavoro rende liberi” e fu realizzata da un fabbro che ha voluto saldare la lettera b al contrario come segno di protesta e perché aveva capito il vero significato di Auschwitz e intuito ciò che sarebbe accaduto li dentro.
L’affluenza di persone che visitavano il sito era tantissima, con molti turisti provenienti da tutte le parti del’Europa e ciò che più mi ha colpito è stato l’elevato numero di scolaresche e di scuole, provenienti perlopiù dalla vicina Germania e dalla stessa Polonia per mostrare loro la Storia e poterla osservare da vicino per non dimenticare. La guida continuava a parlare con un ritmo cadenzato, sofferente, come se anche lei avesse vissuto da vicino quei tristi avvenimenti e ogni sua parola era un graffio al cuore, cercando vagamente di immaginare le scene, aiutati dalle varie foto appese alle pareti, ma l’immaginazione, in questi casi, è davvero nulla in confronto a ciò che hanno provato milioni di ebrei, costretti a vivere in condizioni disumane, dentro celle 90 di centimetri quadrati, in quattro persone e senza potersi coricare per notti intere, ignari del proprio destino e puniti per colpe che non avevano.
Gente che in inverno era costretta a dormire in ricoveri freddi, umidi, in una terra che in inverno tocca punte di meno venti gradi sotto lo zero, senza un minimo di privacy, trattati peggio delle bestie e costretti a lavorare e a subire le angherie di gente senza un briciolo di umanità, guidati solo da un progetto assurdo e incomprensibile.
I momenti di commozione e di imbarazzante silenzio sono stati tanti, molti i particolari, dalla bambola della bambina alla valigia in cartone, dalle scarpe ammassate alle scatole contenenti il Cyclone B, il terribile gas utilizzato per lo sterminio di massa che facevano riflettere e lasciavano interdetti, a bocca aperta.
A differenza di Auschwitz, Birkenau presenta moltissimi edifici e capannoni distrutti dai nazisti che hanno cercato di cancellare le prove di quella assurda storia ed è tagliato in due dalla linea ferroviaria utilizzata per il trasporto degli ebrei e il loro smistamento nei vari campi di concentramento per lavorare o per andare incontro alla morte, nel caso dei non abili al lavoro.
Sulla parte sinistra si trovano gli edifici realizzati in muratura, mentre a destra dei capannoni realizzati in legno, simili a delle stalle, ospitanti sia persone che cavalli utilizzati per il lavoro nei campi e si notano molti edifici distrutti e rasi al suolo. Molto significativo un vagone merci che sosta sui binari e utilizzato per il trasporto delle persone che erano ammassate al loro interno senza finestre, con l’aria scarsa e al buio, lasciato come ricordo e in cui si trovano poggiate delle pietre che gli ebrei utilizzavano per commemorare i defunti e simbolo di un amore che dura in eterno, proprio come una pietra.
I due campi di concentramento sono stati visitati da numerosissime persone celebri, compresi il papa, Giovanni Paolo Secondo e Benedetto XVI che, durante la loro visita, hanno pregato nella cella dove fu prigioniero Massimiliano Kolbe, il francescano che si offrì volontario a sostituire un padre di famiglia destinato nel bunker della fame ad Auschwitz.
Questa e tantissime altre storie sono raccontate dalle varie guide durante il percorso ed è possibile anche partecipare a visite guidate di una giornata intera in cui si possono visionare documenti contenenti i nomi e molto altro ancora per studio o per semplice curiosità.
L’esperienza è stata toccante, commovente, giravo con un continuo nodo in gola per ogni passo, ogni edificio e ogni strada percorsa, lasciandomi dentro un ricordo indelebile, impossibile da dimenticare, per cui consiglio a tutti, almeno una volta nella vita, di visitare Auschwitz e osservare e toccare con mano la storia della tragedia avvenuta all’interno di quelle tristi e sanguinolenti mura.