Un caffé. Anzi due, uno per me e uno per il Tarlo, ché oggi si discute di cose serie.
Stavo leggendo un manuale di scrittura e mi sono trovata davanti il suggerimento vago di ‘non scandalizzare il lettore’, cioè di non metterlo davanti a situazioni, personaggi o linguaggi che potrebbero urtare la sua sensibilità o se proprio dobbiamo di farlo in modo delicato (veniva citata la Munro, come maestra in reticenza).
Quindi un autore dovrebbe praticare l’auto-censura? Ripenso agli scrittori che mi piace leggere: per esempio ho da poco finito El Especialista di Barcellona, il nuovo libro di Busi. Ecco, lui non mi sembra proprio uno scrittore che si autocensura: parolacce, rapporti sessuali, situazioni sgradevoli… nei suoi libri trovi di tutto. A me questo modo di raccontare piace molto, anzi, mi offende il pensiero che un autore si debba moderare perché io lettore non mi devo scandalizzare, non devo provare orrore, la mia catarsi deve essere moderata.
E il diritto dell’autore di provocare scandalo per promuovere una riflessione? Come lettrice non mi va molto bene di dover essere messa in fascia protetta, magari con dei bei bollini colorati come al cinema; io voglio poter leggere tutto, poi se non mi piace o mi disturba ho sempre il diritto di non finire di leggere, come insegna Pennac.
Un autore che si autocensura, poi, mi sembra pecchi di presunzione: come può pretendere di interpretare quello che un lettore potrà o no trovare disturbante? Le sensibilità non sono tutte uguali.
In passato, è vero, c’era lo Stato che decideva cosa si poteva leggere o vedere (quanti libri e film anche in Italia sono stati bollati come immorali o offensivi?), ma quei tempi dovrebbero essere passati. Oppure sono passati perché la censura avviene a monte, nella testa dello scrittore?
Insomma, qui c’è del materiale su cui riflettere. Voi come vi comportate come lettori e come narratori?