“Chiudo un libro. Apro un diario. La vita, in fondo, è tutto un aprire e un chiudere di pagine.
Ci sono storie in cui ti rispecchi. C'è qualcuno che ha scritto di te,e nemmeno lo sa. E chissà di quanti altri ha scritto ancora! Perchè no, non sei così unica come credevi. Ma non è una delusione. Rileggersi in un'altra storia è sentirsi meno soli, meno alieni al mondo. Se pensi che c'è qualcuno che agisce e pensa come te non hai paura di sbagliare.
Nessuno sbaglia, siamo solo diversi. Tante storie da catturare su altrettanti libri”.Uno dei miei tanti, vecchi, diari si apre così. 3 Settembre 2005, recita la data. Ed è oltremodo inquietante constatare che a vent'anni ero parecchio più saggia di ora. Comunque. Leggere di cose accadute anni fa, cose che nemmeno ricordi, è un ottimo surrogato di romanzo. L'ideale, finchè non mi decido a ritornare in biblioteca a sfoltire ulteriormente la mia wishing list di Anobii. Nello specifico, poi, la trama è bella densa. Chè il duemilacinque mica è stato un anno come gli altri. Nossignore. Io ho scelto di rivedermi nei ritmi serrati della transizione. Nell'ossessivo countdown verso quello che avevo deciso che sarebbe stato il mio ultimo concerto di Cesare Cremonini prima di allontanarmi dalla cerchia dei suoi fan. Era giunta l'ora di troncare alcuni rapporti, altrimenti non sarei cresciuta mai. Sapevo che avrei pianto, pure. Sapevo perchè. Sapevo, e so oggi più che mai, che era la cosa più giusta da fare. E mi rivedo ai primi anni dell'università. Al corso di spagnolo che inizia ad aprirmi mondi nuovi. Ai testi frammentati in lingua castigliana che, pagina dopo pagina, si fanno sempre meno zeppi di errori di ortografia. Parlo di nuove conoscenze fatte a lezione, nell'ultimissima riga di quei tanti fogli a quadretti. Senza sapere dove, di lì a pochi mesi – a pochi giorni, anzi – quelle nuove conoscenze mi avrebbero portato. A un disco. A un mondo. All'Erasmus. Al titolo di un blog. Senza sapere che tutto ciò, magicamente, avrebbe finito col dare nuovi sensi a quello stesso passato. In un disegno fin troppo perfetto per sembrare agli altri vita vera.La ragazzina che rileggo in quel diario è una bella persona. Migliore di quella che è poi diventata. O per lo meno, così mi sembra ora. Sorrido del suo parlare di libri, con l'acceso fervore di una delle poche Passioni che non le è mai cambiata nella vita. Del suo scrivere a tarda notte, abbozzando storie, titoli e agghiaccianti profezie. Amava l'amore, quella ragazzina. In un romanticismo che riesce ancora oggi a risultarmi toccante. Con la tenerezza di chi sta a metà tra l'esser grande e il sentirsi ancora bambina. Era circondata di amici – pochi, però i migliori. Di feste, di una marea di sogni. E si perdeva, di tanto in tanto, nei deliri dei suoi viaggi mentali. A volte inventava storie per ogni sconosciuto che incontrava in treno. Microracconti comici su ipotetiche anime gemelle. Faceva autoironia (ma solo sulla carta) sulle sue stesse paranoie. Chè ne aveva tante, di paranoie. Tante, troppe, per ogni cosa. Lei era insicura da morire.