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La trama (con parole mie): in un futuro prossimo in cui le tempeste solari hanno ridotto a pochissimi milioni di persone la popolazione umana, i sopravvissuti si affidano agli interventi di contenimento di una nuova generazione di automi programmati per proteggere e servire senza opporre resistenza alcuna, o domande che possano rompere gli equilibri.
Jacq Vaucan, emissario della più grande compagnia produttrice di robots ed addetto alla parte assicurativa, entra in contatto con un poliziotto alcolizzato che afferma di aver terminato uno degli automi intento ad autoripararsi e modificarsi: l'incontro è solo l'inizio di una serie di scoperte che porteranno Vaucan a venire in contatto con un gruppo di ribelli meccanici desiderosi di emanciparsi dal loro compito di schiavi senza volontà, mettendo a rischio non solo il suo lavoro ed incolumità, ma anche il futuro della sua compagna e della figlia che porta in grembo.
In condizioni normali, se qualcuno mi avesse presentato a scatola chiusa una produzione iberico/bulgara/nordamericana di fantascienza con protagonista Antonio Banderas, avrei pensato senza dubbio ad uno scherzo, o ad un prodotto di infima serie godurioso e senza alcun ritegno da serata a neuroni staccati: al contrario Automata, prodotto di nicchia e, seppur non perfetto, assolutamente interessante di Gabe Ibanez, è tutto fuorchè una visione da poco, o da dedicare alle serate con gli amici sotto i pesanti effetti dell'alcool.
Ottimamente confezionato - come si scriveva qualche giorno fa qui al Saloon, una produzione artigianale che in Italia possiamo solo sognarci -, forse troppo derivativo ma ugualmente efficace, non brillantissimo in quanto a ritmo eppure funzionale negli intenti, Automata mescola le atmosfere di complotto di Minority Report, le velleità sociali di Blade Runner, la critica di District 9 e l'azione di Dredd: senza dubbio non siamo dalle parti del cult, e neppure del Capolavoro, eppure, considerate le aspettative e le basi di partenza, il risultato è quantomeno archiviabile come un successo, un prodotto in grado di fare ben sperare ed una delle cose più genuine che la fantascienza abbia portato sul grande schermo - in termini di distribuzione mainstream - di recente.
Lo stesso protagonista, che dagli Expendables alle pubblicità del Mulino Bianco abbiamo ormai imparato a vedere in tutte le vesti possibili ed immaginabili, funziona, e regala all'audience emozioni che parevano sopite dai tempi di El mariachi e C'era una volta in Messico, pur mostrando un carattere più riflessivo e da "lone wolf" che non da tamarro spaccaculi: onestamente, Banderas mi è sempre stato simpatico, dai primi lavori con Almodovar allo spassoso Two Much, e non sarei riuscito a volergli male neppure a fronte di un fallimento clamoroso, eppure con la sua presenza e l'impegno che pare avere profuso per il ruolo di Jacq riesce addirittura a rendere credibile perfino la sua compagna Melanie Griffith, presente in una piccola parte e sempre più inguardabile.
A prescindere, comunque, dalla metà di Banderas e dalla componente umana della pellicola - che, di fatto, rappresenta anche la critica sociale di Ibanez -, veri protagonisti sono i robots, ottimamente realizzati ed in grado non solo di riportare visivamente alla memoria i bei tempi dei gamberoni di Neil Blomkamp, ma anche di stimolare riflessioni forse non nuove ma ugualmente interessanti a proposito della libertà di pensiero e di azione, e del ruolo che, nel corso della Storia, hanno avuto i governi e gli organismi di controllo sul libero arbitrio e la sua espressione.
L'escalation finale ed il legame tra Vaucan e la sua famiglia e quella dei robots con il loro "nuovo nato" è da questo punto di vista molto azzeccata, tanto da portare a galla prima dell'azione, degli effetti e delle sparatorie l'efficacia principalmente concettuale di un film sulla carta nato esclusivamente a servizio della parte ludica e d'intrattenimento.
Ma il vero motivo di vanto per Gabe Ibanez ed Automata è e sarà principalmente quello di avermi regalato la prima visione quantomeno discreta che annoveri nel cast Dylan McDermott, fino ad ora garanzia assoluta di schifezza atomica neanche fosse l'ultimo degli Steven Seagal: una cosa davvero non da poco per un titolo sulla carta di seconda fascia lasciato per mesi a prendere polvere in uno dei tavoli più remoti del Saloon e recuperato quasi per caso, così come casualmente deve averlo proposto la distribuzione nostrana.
MrFord
"Stop trying to live my life for me
I need to breathe
I'm not your robot
stop telling me I'm part of the big machine
I'm breaking free
can't you see,
I can love, I can speak
without somebody else operating me
you gave me eyes so now I see
I'm not your robot, I'm just me."
Miley Cyrus - "Robot" -
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