di Leone Maria Anselmi
Scenari apocalittici, popolazione mondiale decimata, ecosistema irrimediabilmente alterato da disastrosi mutamenti climatici, radioattività diffusa, habitat insalubre sulla quasi totalità del pianeta, piogge acide: tutti ingredienti del fortunato filone dei film catastrofici ma, lo diciamo subito, questa pellicola del regista spagnolo Gabe Ibáñez si pone, a buon diritto, su un piano decisamente superiore.

Autómata scavalca agevolmente i triti toni fantascientifici e riesce a descrivere, in modo per certi versi credibile, un futuro potenziale. Non la macchina che si rivolta contro l’uomo (tema già abusato più volte dalla cinematografia di genere), ma la macchina che sopravvive all’uomo, scalzandolo dal ruolo di specie dominante. Progettati a immagine e somiglianza dell’uomo gli automi si rivelano capaci di elaborare finanche sentimenti, di stringere relazioni complesse e di pensare in modo progettuale, diretta conseguenza di un software predisposto dall’uomo, un programma protetto da due protocolli di sicurezza; finché qualcuno (o qualcosa) non interviene a violare questi protocolli, contribuendo così al processo di umanizzazione degli automi. L’eroe umano (interpretato da un maturo Antonio Banderas) si muove come un alieno sulla Terra, come un extraterrestre su una sconosciuta landa desertica, alla disperata ricerca di un’oasi di sopravvivenza per sé e la sua famiglia, una piccola nuova generazione di speranza contro un presente arido e disumanizzato. Con ogni mezzo a sua disposizione l’eroe tenta di impedire che gli automi prendano il sopravvento, salvo poi scoprire in loro più umanità di quanta non ve ne sia negli uomini biologici. Il film, al di là di certe pieghe della storia e degli immancabili effetti speciali (peraltro riuscitissimi) – ottima la resa visiva dell’interazione tra uomini e robot – ha il merito di stimolare riflessioni su più livelli, e di aprire finestre che mai si vorrebbero spalancate sul futuro del pianeta.

Il film di Ibáñez non ha pretese autorali – la sceneggiatura è firmata dallo stesso Ibáñez, con la collaborazione di Igor Legarreta e Javier Sánchez Donate – ma nemmeno sfora più di tanto nel catastrofismo sentimentale hollywoodiano. Autómata è semplicemente un bel film, esteticamente interessante, sfaccettato e ricco di spunti. In primo piano la questione (attualissima) della fragilità del pianeta, la sua condanna e insieme la sua speranza.
Leone Maria Anselmi

Copyright 2015 © Amedit – Tutti i diritti riservati
Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 22 – Marzo 2015.
VAI AGLI ALTRI ARTICOLI: Amedit n. 22 – Marzo 2015
Per richiedere una copia della rivista cartacea è sufficiente scrivere a: [email protected] e versare un piccolo contributo per spese di spedizione.