Nota redazionale: questo articolo viene ripubblicato perché contenente un addendum (in calce) con cui Massimo Pittau risponde alle polemiche sollevate dalla prima presentazione del pezzo. Diritto di replica a chiunque voglia esprimere il suo parere in merito.
di Massimo Pittau. Tutte le volte che incontro l’amico Diego Corraine provo un senso di malinconia e pure di mortificazione: perché corro con la memoria agli anni Settanta, quando fondammo la «Sotziedade pro sa Limba Sarda», io presidente e lui segretario, e in questa veste organizzammo incontri e manifestazioni in tutta la Sardegna per la salvaguardia e il recupero della lingua sarda. Dopo però ci separammo e la Sotziedade scomparve, quando lui credette di proporre per la Sardegna una “lingua unificata”, creata a tavolino e scritta alla maniera della lingua spagnola, mentre io non ci credetti per nulla. Sta però di fatto che il suo tentativo fallì per due volte per l’ostilità dei Sardi, soprattutto dei Campidanesi – che sono i parlanti più numerosi – quando si accorsero che avrebbero dovuto adoperare una “lingua unificata”, che era una forma di logudorese annacquato. E da allora abbiamo continuato ad assistere alla dissardizzazione linguistica dei Sardi, effettuato in forma massiccia dalla scuola, dai mass media, dalle canzonette, dallo sport, ecc.
E malinconia unita a mortificazione mi è venuta quando qualche giorno fa Diego ha pubblicato un articolo, del quale condivido quasi tutte le considerazioni: che la lingua costituisce il fattore primo e principale di ogni etnia; che la Regione Sarda non si è impegnata al fine di applicare e far applicare realmente una legge regionale e una statale, che pure sono state promulgate, in difesa del sardo e delle altre lingue di minoranza; che una politica in difesa della lingua sarda, mandata avanti con chiarezza e con impegno avrebbe anche le sue ricadute positive di carattere occupazionale a favore dei giovani sardi, ecc.
Eppure, come ho detto e scritto altre volte, ci sarebbe un mezzo del tutto facile e molto efficare, il quale, adottato, consentirebbe non soltanto la salvaguardia della lingua sarda, ma pure il suo recupero nella scuola, nell’amministrazione, nella politica e nella cultura. Si tratterebbe di fare entrare nello Statuto della Regione Autonoma Sarda, un solo nuovo articolo, in perfetta analogia con quanto avviene per gli Statuti delle Regioni Autonome Valdostana e Altoatesina: nella Val d’Aosta e in Alto Adige nessuno può entrare e operare nella scuola e negli uffici pubblici se non conosce la lingua francese e quella tedesca rispettivamente. Ebbene, se noi Sardi vogliamo salvaguardare veramente la nostra lingua sarda, la nostra cultura e la nostra etnia, dovremmo chiedere e pretendere l’inserimento nello Statuto Regionale Sardo di questo nuovo unico articolo, con tre commi: «In Sardegna nessuno può insegnare e operare nelle scuole se non conosce e adopera la lingua sarda. A) Ogni insegnante ha l’obbligo di conoscere in maniera passiva e attiva una delle varietà dialettali della lingua sarda e conoscere in maniera passiva almeno un’altra varietà. B) Nell’elenco e nella scelta delle varietà dialettali da adoperare nelle scuole sono da includere, con uguali diritti e uguale dignità, anche quelle di ulteriore minoranza, cioè alloglotte: gallurese, sassarese, algherese e tabarchina. C) L’uso della lingua sarda e/o delle varietà alloglotte, unitamente a quello della lingua italiana, deve avere anche un carattere strumentale, cioè deve valere anche nell’insegnamento di tutte le altre discipline scolastiche».
A questo punto prevedo un’obiezione: quale sarebbe la lingua sarda da adoperare nelle scuole? Per me la risposta è del tutto facile e semplice: la lingua sarda ha due varietà fondamentali, il logudorese e il campidanese, entrambe ormai formalizzate, entrambe intercomprensibili per tutti i Sardi, la prima adoperata nel Capo di Sopra, la seconda nel Capo di Sotto, entrambe ormai in possesso di un notevole patrimonio di letteratura in poesia e in prosa. A questo proposito si deve pur sapere che ormai abbiamo sia nella varietà logudorese sia in quella campidanese, componimenti poetici di elevato valore letterario, spesso molto superiore a quello della poesiola “T’amo o pio bove” o alla lunga tiritera di “Davanti San Guido”.
Però io escludo con decisione che come lingua sarda sia considerata quella che è stata inventata e denominata la “limba comuna”: secondo me – che sono il linguista che ha scritto più di tutti sulla lingua sarda – questa non è altro che un “grosso pasticcio messo su da grandi pasticcioni”, che la Regione ha avuto la sventatezza di adottare ufficialmente, mentre, esclusi gli inventori, nessun altro Sardo la adopera e nessun altro Sardo la vuole.
Un’ultima considerazione, ma non la meno importante: nell’insegnamento e nell’uso del sardo nelle scuole si dovrebbero distinguere bene due momenti, l’”orale” e lo “scritto”: ebbene rispetto all’orale nelle scuole si dovrebbe insegnare e adoperare il “suddialetto locale”, anche quello del più piccolo villaggio dell’Isola: a Cagliari si dovrebbe insegnare e adoperare su casteddaju, a Villaputzu su sarrabbesu, a Lanusei su lanuseinu, a Nùoro su nugoresu, a Ollolai su ollollaesu, a Ozieri su ottieresu e via dicendo. Con questo procedimento si otterrebbe il grande risultato di coinvolgere nell’operazione della salvaguardia e del recupero della lingua sarda anche la generazione dei vecchi, i quali sarebbero assai contenti di poter insegnare ai loro nipotini il suddialetto del loro sito natale. Invece nel momento dello scritto gli insegnanti dovrebbero richiedere dagli alunni l’uso del logudorese comune nel Capo di Sopra e del campidanese comune nel Capo di Sotto. Nelle zone alloglotte, Carloforte, Alghero, Sassari, Castelsardo, Gallura si dovrebbero ovviamente insegnare e adoperare le rispettive parlate.
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ADDENDUM Ho saputo che alcuni “periti” od “esperti” si sono lamentati del fatto che io abbia definito “sa limba comuna” un “grosso pasticcio messo su da grandi pasticcioni”, che però è stata adottata – niente meno – dalla Regione Autonoma Sarda. Ma io non ritiro il mio giudizio e sono tentato di peggiorarlo per le seguenti considerazioni: I) “Sa limba comuna” estranea ed esclude dalla operazione della salvaguardia e del rilancio della lingua sarda due intere generazioni di Sardi, quella degli adulti e quella dei vecchi; questi infatti non si presteranno mai a studiare ex novo questo “pasticcio” per poi insegnarlo alla generazione dei giovani. II) Essa estranea ed esclude tutti i Campidannesi parlanti, con is Casteddajus in testa, i quali non accetteranno mai “sa limba comuna”, che non è altro che un logudorese annacquato e che d’altronde sono molto più numerosi dei Logudoresi parlanti. III) Essa estranea ed esclude tutti i parlanti delle varietà alloglotte, Carlofortini, Algheresi, Sassaresi, Castellanesi e Galluresi, i quali non ci tengono per nulla ad avere “sa limba comuna” come lingua ufficiale della loro Regione. IV) “Sa limba comuna” è un pasticcio anche sul piano della ortografia, dato che viene scritta con le lettere scempie, anziché doppie, per indicare le esplosive sorde, forti o lunghe, cioè atu, fatu, note, oto, sete, ecc., invece che attu, fattu, notte, otto, sette, ecc.,secondo la rispettiva etimologia latina actu(m), factu(m), nocte(m), octo, septe(m), ecc. ed inoltre secondo una lunga tradizione di ortografia sarda. Su questo specifico argomento mente sapendo di mentire chi va in giro dicendo che questa decisione era stata adottata dalla I Commissione regionale per la lingua sarda, di cui facevo parte anche io: quella I Commissione invece aveva adottato alla unanimità la delibera di mantenere la duplicazione delle consonanti anche per indicare la loro particolare lunghezza o forza. Si facciano avanti i “periti ed esperti” per difendere la loro creatura; citino i loro nomi e dimostrino su che cosa si fonda la loro “perizia ed esperienza” linguistica. MASSIMO PITTAU
Featured image, Murales a Orgosolo. La scritta in sardo dice “Popoli, questa è l’ora d’estirpare gli abusi, a terra le ingiustizie, a terra il dispotismo” ed è tratta da un verso dell’inno sardo composto da Francesco Ignazio Mannu.