Ripubblico
qui un mio articolo uscito nel 2011 su LN-LibriNuovi, un breve
articolo di commento un aspetto particolare del rapporto tra autore
ed editore e dei riflessi che questo può avere sul mercato
editoriale librario. Riletto oggi mi è parso non troppo invecchiato
e con qualche piccola modifica lo ripropongo qui. Buona lettura!
Una
cosa fisiologica, in apparenza.
Ma
forse non così normale come appare.
Siamo
abituati ad accoppiare quasi inconsciamente autore e casa editrice.
Bevilacqua e Mondadori, Moravia e Bompiani, Bassani ed Einaudi
eccetera. I passaggi di casa editrice sono possibili ma non troppo
frequenti e, in genere, non riguardano i «big». Eco e Bompiani, per
dire. O Biagi (il fu) e Rizzoli. Ma le cose hanno iniziato a muoversi
più velocemente, di recente.
È
recente il nuovo libro di Culicchia.
Marchiato
Mondadori.
Culicchia,
per chi non lo ricordasse, ha tutti i suoi primi titoli con Garzanti.
È
uscito da Mondadori l'ennesimo libro di Maurensig. Nato Adelphi.
Attenzione:
non mi interessa in questa sede discutere dei pregi o difetti della
produzione narrativa, ma soltanto constatare la scuderia.
Come
per Farinetti, uscito Marsilio e successivamente pubblicato da
Mondadori, (anche se gli ultimi libri sono nuovamente marchiati
Marsilio).
Genna,
pubblicato in origine da Einaudi, uscito in Mondadori.
Il
mio buon amico De Filippo edito da Einaudi e di recente pubblicato da
Mondadori – anche se si tratta forse soltanto di un'avventura.
Mondadori
ha anche pubblicato: Mazzantini (Marsilio), Evangelisti (Einaudi),
Abate (Fazi), Siti (Einaudi), Favetto (Utet), Van Straten (Bompiani),
Corona (Biblioteca Immagine), Pinketts (Feltrinelli). È una storia
vecchia quella del fantasma di Calvino «rapito» da Mondadori a
Einaudi o di Busi passato da Adelphi a Mondadori (e in seguito a
Giunti e poi al fallito Dalai, ma questa è un'altra storia ancora) o
il curioso tandem di Camilleri che passa da Sellerio a Mondadori e
viceversa senza particolari problemi, o meglio, grazie a un contratto
raffinatissimo. Mentre il ritorno di Brizzi da Mondadori a Dalai è
semplicemente il risultato di un contratto non perfettamente
riuscito. Resta il fatto che tra gli scrittori italiani di media
caratura è in atto uno spostamento graduale e apparentemente
impossibile da fermare dai medi editori a Mondadori. Più o meno, a
voler fare un paragone irriverente, ciò che avviene per le squadre
di calcio.
Mondadori
ha (ancora) denaro, questo è indiscutibile, e i suoi contratti hanno
qualcosa al quale risulta molto difficile resistere. Se si ha avuto
un certo successo (dalle 10.000 copie in su, per capirci) difficile
non cadere sotto lo sguardo mondadoriano. Non solo: i nuovi autori
«di successo» (Giordano, chi se no?) vengono proposti direttamente
da Mondadori. Torno a ripetere, per evitare maledizioni e accidenti
di ogni genere, che non sto parlando della «qualità» dei testi ma
della loro capacità di muovere lettori e attirare quella vasta
fascia di lettori incostanti che leggono meno di 12 libri all'anno,
pescandoli dalle classifiche di vendita.
In
sostanza Mondadori può allineare, a essere precisi, 3-4 autori
importanti a ogni uscita. Nomi da spendere e da vendere. Poi si può
benissimo pensare che l'ultimo della Mazzantini è una ciofeca o che
i numeri primi di Giordano sono di una povertà desolante, ma resta
il fatto che è Mondadori a «fare» il mercato.
Il
problema grosso, il baco della cosa, è il tipo di clima che si viene
a determinare.
Mondadori,
il numero uno dell'editoria italiana, punta dichiaratamente su autori
già affermati. Crea una scuola di autori affermati che scrivono
pescando nella loro carriera ormai pluriennale, autocitandosi e
autocopiandosi. Pensano in primo luogo al successo che i loro testi
sono in grado di garantire loro senza preoccuparsi, si può supporre,
di tentare nuove vie o nuove soluzioni. Bene o male, anche se sono
prontissimo a ricredermi, Culicchia scriverà un altra culicchiade e
Mazzantini una mazzantinata. Nulla di male
se si apprezzano le produzioni di questi autori, anche se –
ovviamente – tutto ciò definisce un paesaggio fermo, ovvero autori
che producono letteralmente a richiesta titoli molto simili l'uno
all'altro, destinati (condannati?) a un successo inevitabile.
E
gli altri, gli autori meno noti e non appetiti da Mondadori?
Ai
lettori tirare le conclusioni. Una volta stabilito che tali autori
non possono ambire a vivere scrivendo e quindi difficilmente potranno
giungere a costruire un'estetica letteraria personale, la conseguenza
è che il nuovo narrativo farà fatica a emergere. La caccia nelle
riserve dei nomi famosi ha questo come conseguenza, impossibile non
arrivare a pensarlo.
Siamo
in un momento pesante, nel mondo letterario. Da una parte gli
scrittori – coccolati, viziati, strapagati purché non smettano di
scrivere ciò che può puntare al successo – dall'altra i perenni
dilettanti, armati di qualche buona idea ma eternamente inchiodati
nella posizione di chi sta iniziando una corsa. Il tutto in un quadro
economico generale che vede la diminuzione dei lettori e la crescita
degli e-book.
Non
avete anche voi una sensazione di aria chiusa e viziata? Di un futuro terminato?