di Cristiano Abbadessa
Alcuni nostri collaboratori, una volta letto il manoscritto relativo a una proposta inviataci, al momento di redigere la scheda di lettura sono soliti arricchirla di riferimenti ai nomi di noti autori, per spiegare in forma evocativa a quale modello noto potrebbe essere accostato l’aspirante autore per stile, per atmosfere, per struttura del racconto. Si tratta di indicazioni solitamente utili, specie se i paragoni non risultano troppo azzardati, a patto di distinguere bene tra quella che può essere l’effettiva ispirazione a un modello e la presenza di una semplice eco, frutto di buone letture che lasciano qualche traccia ma non fanno paradigma.
Ho a volte sostenuto delle discussioni, all’interno e all’esterno della casa editrice, con quanti ritengono che nella descrizione sommaria di un nuovo autore e della sua opera (per esempio nella quarta di copertina o nei comunicati stampa) la citazione e il riferimento a nomi noti del panorama letterario costituirebbe un punto di forza dal punto di vista promozionale e, come minimo, un elemento di chiarezza per il potenziale lettore.
Personalmente mi sono sempre opposto a questa procedura, perché mi sembrerebbe di appioppare un’etichetta ingombrante e riduttiva all’autore che stiamo lanciando. C’entra, presumo, un retaggio della mia antica passione calcistica, e coloro che non condividono questa passione mi perdoneranno la digressione. Il fatto è che mi tornano in mente, dalla giovinezza, personaggi come “il Keegan della Brianza” (Tosetto, una veloce ala destra che approdò al Milan con l’aura del campione e ne ripartì dopo una stagione da riserva) o “il Platinì del Molise” (Biondi, un anziano e spelacchiato centrocampista del Campobasso che tirava bene le punizioni). Nomignoli prodotti dall’enfasi giornalistica che finivano per suonare a dileggio di onesti calciatori, certo più rispettati se non si fossero trovati sepolti sotto il peso di improponibili paragoni.
Uscendo dai ricordi calcistici, certe etichette mi sono sempre sembrate più vicine allo sfottò che altro, quasi a suggellare un’ambizione frustrata in partenza: lo Strehler dei poveri, l’Almodovar de’ noantri, declinando il riferimento secondo forme e costumi locali. Per questo, d’istinto, non mi sono mai permesso di accostare un nostro autore a Camilleri o un’autrice all’Allende: non per timore di lesa maestà, ma, al contrario, per evitare, inseguendo un vezzo, di condannare un nuovo autore al riduttivo ruolo di sbiadita fotocopia del grande nome; con il rischio, fra l’altro, che cercando parallelismi solo in parte esistenti si finisca per svilire una qualità che è magari elevatissima.
È vero, però, che qualche volta il problema si pone. Perché un riferimento pertinente, e motivato, potrebbe magari davvero aiutare il potenziale lettore a capire qualcosa in più sul nuovo libro e sul suo autore, rifacendosi a modelli noti.
Ma qui il problema si complica di nuovo, perché non tutti i lettori devono necessariamente essere degli esperti di letteratura, e quindi molti riferimenti potrebbero risultare oscuri. Per essere sicuri di indicare un modello comprensibile, dovremmo pescare in quelle poche decine di nomi necessariamente noti a tutti, a prescindere dalla conoscenza diretta (nel senso che se qualcuno scrive che la tale autrice è “la nuova J.K. Rowling” capisco di cosa sta parlando, anche se non sono un lettore di Harry Potter). In tal caso, però, si finirebbe con lo scadere nel banale e nell’affrontare il costante rischio dell’iperbole.
Insomma, io non me la sento, da editore, di incasellare in canoni tanto rigidi, quanto può esserlo l’evocazione di un nome celebre, le qualità e lo specifico di un autore poco conosciuto. Preferisco semmai rifarmi a scuole, generi, grandi filoni della letteratura, giusto per dare un’idea generica di appartenenza. O, se del caso, azzardare qualche paragone interdisciplinare: dire che il tale autore evoca le atmosfere tipiche di un certo regista cinematografico, o che ha la capacità di rappresentare plasticamente la realtà propria del tale artista figurativo.
Poi, lascio volentieri ai recensori il compito di trovare tracce ed echi di questo o quel grande autore. Anche perché i recensori hanno spazio per motivare l’affermazione, esprimono una libera affermazione e non rischiano di cadere nel ridicolo, come capita a chi spende paragoni azzardati credendo di farsi una facile pubbicità.