Autori L’Arcolaio: Piergiorgio Viti

Da Narcyso

Piergiorgio Viti, ACCORGIMENTI, L’Arcolaio 2010

Mi sembra di poter dire che queste poesie non descrivono il momento di un essere, di un accadere, ma il prima e il dopo entro cui si situa l’accadere dell’essere.
Ciò che accade non è solo ciò che cogliamo nell’istante, ma il ricordo del già stato e la possibilità di un compimento. Così è inevitabile l’affronto del dato personale, ma ancora di più la funzione delle stagioni, il mutare e il ripetersi degli eventi. Alcune esempi:
“Seduto a una vecchia bocciofila (…) guardo alcune ombre parlarsi”, p.14…
“Vedo le foto di mio fratello/ringiovanito e sbarbato …”, p. 18.
“Il respiro che nel vetro si perde/è di un tempo che non lascia scampo”, p. 9.
E’ il tempo, allora, il fantasma di questo libro. E c’è un rimbrotto tra le prerogative del trascorrere, delle metamorfosi, e una certa capacità del pensiero, non della carne, a resistere. Così per esempio, in questo bellissimo testo:

Custodisci nella grazia
del tuo ventre ampio, madre,
il coito segreto che è stato il mio
destino. Ti appartengo prima
di ogni passato, di ogni fioritura,
ero già premura nel tuo costato.
p. 12

Qui la resistenza viene idealizzata nel seno dell’eterno femmineo, dell’archetipo, che è tale perché può vivere solo nel mondo delle forme, dei desideri declinati all’infinito. Quindi fuori dal tempo.
Anche i ricordi personali conservano questa dimestichezza con la custodia e con l’allontanamento:

Quando tra i muri incespica la ginestra
e tacciono i rondoni alle grondaie,
la primavera si affaccia sulle esistenze,
tenue, come una domanda sulle labbra.
Allora si giocava in un cortile
solleticato dall’ortica,
con un pallone-arcobaleno
che danzava nella polvere.
E nonna guardava da lontano,
a volte allacciandosi le scarpe.
p. 17

“Immaginare case sottratte, stagioni non pervenute”; immaginare, con la conservazione del ricordo, di poter sottrarre l’immagine del fratello alla corrosione del tempo: “perché il tempo ingiallisce”, p.18. E’ l’arma della reverie contro il quieto sfaldarsi della carne. E’ la resistenza dell’onda: “L’onda che oltraggia le scogliere/è una sfida virile al tempo,/a ciò che era e mai sarà”, p. 21.
Questo trascolorare incessante della vita, avviene nello snocciolarsi delle stagioni, nelle strade, negli ascensori, nelle stanze delle case, nelle fotografie ingiallite. E soprattutto nel cuore dell’amore che passa, esso stesso, forse più rapidamente che il guizzo della morte sulle case fragili.
Ma è l’amore passato che ci regola, forse, più di ogni altra cosa; l’amore come sguardo disilluso sulle illusioni, che ci insegna ad attraversare l’inverno, lo spavento giornaliero della vita.

Sebastiano Aglieco

*

Vedo le foto di mio fratello
ringiovanito e sbarbato,
con un sorriso che oggi ghigna,
perché il tempo ingiallisce, deforma,
tutto gramigna.

E oltre i vetri, un vasto sonno:
solo l’eco di una radiolina
trapassa le mute stanze,
parapiglia un ascolto
tra chi è vivo e chi è morto.

*
Ben poco resterà di questo giorno:
una conversazione in affitto,
qualche vicenda tipografica,
l’urina affannosa dei cani.
Nulla davvero accade
oltre il toccarsi delle tende.

*

Sembrano maiuscoli certi silenzi,
quando la casa riposa
e tornano estranei anche i pensieri.
Capita di domenica soprattutto,
quando il cielo borbotta un’indaffarata pioggia,
e le edicole non racimolano
che pochi passanti.
Ci si sente indispensabili,
come pane raffermo nella credenza,
mentre le campane suonano a messa
e il ronzio di una moto
scompiglia strade.
Scalpita nelle ossa una certa fatica
e si resta attoniti, affranti,
di fronte all’autunno che rimprovera colori.

*

Vorrei che Dio mi obbedisse
Quando lo prego, prima di chiudere gli occhi,
per quello spavento giornaliero che è la vita,
per quel dolore acustico che smidolla le notti
e fa regredire ad un tempo già scritto
e per questo innocente.


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