Archiviate le figure simbolo dell’autorità (oggi abbiamo un padre ludico, insegnanti delusi, sacerdoti battuti dal soggettivismo etico), i capisaldi dell'individualismo riescono sempre meno a mobilitare gli italiani: meno consumi, meno impresa individuale, meno fiducia in un benessere crescente. Lo sostiene l'ultimo studio del Censis "I miti che non funzionano più", vera e propria fenomenologia della crisi antropologica degli italiani.
L’eccesso di individualismo e la «libertà di essere se stessi» ad ogni costo hanno infranto le figure simbolo dell’autorità: il padre, l’insegnante e il sacerdote. Ma il disagio antropologico di questa fase è dovuto, allo stesso tempo, al fatto che non funzionano più come in passato i miti trainanti del soggettivismo: la spinta acquisitiva attraverso i consumi, l'intrapresa individuale, la fiducia in un benessere sempre crescente.
Per più del 39% degli italiani il padre non rappresenta più le regole e il senso del limite all’interno delle famiglie e nel rapporto con i figli (il dato supera il 42% tra le donne, è pari al 45% tra i laureati e al 46% tra gli anziani e tra i residenti nelle città con oltre 250mila abitanti). Il padre è più presente nelle attività ludiche con i bambini. Quasi l’84% degli uomini in coppia con donne occupate è coinvolto nei lavori familiari in media per 2 ore e 23 minuti al giorno, che significa quasi due giornate lavorative alla settimana (erano il 78% nel 1988 per due ore al giorno).
L’incremento del tempo dedicato dai padri alla famiglia è concentrato nelle attività di cura dei bambini, alle quali si dedica oltre il 55% dei padri per un tempo quotidiano medio di 1 ora e 24 minuti, mentre vent’anni fa vi si dedicava il 42% dei padri per un tempo inferiore di oltre 15 minuti. Solo per il gioco con i bambini il tempo dedicato dai padri è maggiore di quello dedicato dalle madri. Ma il padre ludico, si chiede il Censis, può ancora incarnare i «no» che aiutano a crescere?
Nemmeno la scuola, a sua volta frustrata e smarrita, può essere ancora vista come il "genitore vicario" in grado di supplire alle carenze della famiglia. Il 53% degli insegnanti ha scelto di fare la sua professione in ragione di un’aspirazione personale, ma oltre un terzo (il 50% nella scuola secondaria di secondo grado) non rifarebbe la stessa scelta. C’è una profonda insoddisfazione per lo scarso riconoscimento sociale ed economico della professione. Il 69% ritiene che l’insegnamento abbia uno scarso riconoscimento sociale e quasi il 53% che non benefici di una progressione economica.
Secondo più dell’82% degli insegnanti non vengono realizzati gli obiettivi della scuola, il primo dei quali consiste nella educazione ai valori e alle regole della convivenza civile. I loro alunni sono connotati dall’arte di arrangiarsi (per quasi il 74% dei docenti), da uno scarso senso civico (69%) e da pressappochismo (68%). Nelle opinioni dei docenti neoassunti della scuola secondaria di secondo grado emergono come principali situazioni problematiche: la promozione della motivazione allo studio degli alunni (per il 54%), il raggiungimento di risultati di apprendimento soddisfacenti (50%) e il mantenimento della disciplina in classe (40%).
Le crepe nell'assetto educativo istituzionale (famiglia e scuola), finiscono per determinare nuove visioni nella stessa società, a partire dal senso etico. Oggi prevale, infatti, l’idea di una «morale personale» e a misura di ciascuno. Più del 78% degli italiani è favorevole all’utilizzo di cellule staminali per fini terapeutici, il 67% alla procreazione assistita, il 53% alla fecondazione eterologa, il 50% alla diagnosi preimpianto. Inoltre, più del 59% è favorevole alla interruzione volontaria di gravidanza e il 53% all’uso ospedaliero della pillola abortiva.
Sono dati (a mio avviso non pregiudizialmente negativi) che a fronte di una rinnovata fertilità spirituale basata innanzitutto su una elementare e ragionevole consapevolezza di se stessi e della vita, testimoniano un allontanamento etico dai precetti della Chiesa, sebbene i sacerdoti attivi nelle 25mila parrocchie italiane abbiano un ruolo centrale nel contrastare il disagio sociale. I preti contano ormai come risposta ai bisogni sociali, ma non nella diffusione dei valori etici. Hanno, insomma, una valenza laica irrinunciabile al pari dei consultori o delle associazioni di volontariato.
Con la crisi delle figure di riferimento, dunque, l’individuo "appare" più solo. E oggi non funzionano più, come detto, neanche quei miti fondamentali che hanno trainato lo sviluppo economico e sociale del Paese negli ultimi decenni all’insegna del soggettivismo spinto. La cavalcata del consumismo sfrenato è in evidente declino: più della metà degli italiani ha la sensazione che, al di là dei problemi di reddito, rispetto a qualche anno fa nella propria famiglia c’è un desiderio meno intenso di acquistare beni e servizi.
È un processo che parte da lontano. Il tasso medio annuo di crescita reale dei consumi, rileva il Censis, si è progressivamente ridotto nei decenni: +3,7% negli anni '70, +2,7% negli anni '80, +1,6% negli anni '90, +0,2% negli anni 2000. Nel 2010 le famiglie italiane hanno avuto consumi ridotti in termini reali di 1.602 euro rispetto al 2007, come se fossero rimaste senza consumare per circa 20 giorni in un anno.
Cala poi l'attrazione del «mai sotto padrone». Tra il 2004 e il 2009 il numero di imprenditori è passato da 400mila a 260mila, con una riduzione del 36%. E il numero dei lavoratori autonomi con meno di 35 anni è diminuito nello stesso periodo di circa 500mila unità. Non traina più neanche la fiducia nella mobilità sociale che conduce a un benessere crescente. Il 34% degli italiani pensa che la generazione dei figli è destinata ad avere uno status socio-economico peggiore del proprio (mentre solo il 18% di essi vive oggi in una condizione peggiore rispetto ai propri genitori).
In generale, il 67,5% ritiene che in futuro l’Italia sarà meno benestante di oggi. Percepiamo in declino le dinamiche sociali che hanno ininterrottamente migliorato le nostre condizioni di vita, almeno finora, e questo non solo per la grave crisi che attanaglia l'economia. I sintomi di una minore coesione sociale si ravvisano anche nella crisi della leaership politica oltre che nell'affievolimento dell'autorità delle figure sociali più prossime, a partire dalla famiglia.
Già Pier Paolo Pasolini aveva intuito che la nostra società stava andando incontro a una profonda dedadenza, a causa del progressivo processo di imborghesimento e, appunto, della corsa ai consumi quale presunto strumento di emancipazione per le classi tradizionalmente meno abbienti. Una sorta di "mutazione antropologica", come conseguenza del miracolo economico e del primo benessere. Cosa certamente positiva nell'immediato, ma che alla lunga ha determinato l'omologazione totale e la perdita di valori comuni di riferimento.
In definitiva, se il padre gioca, se la scuola crolla sotto il peso dei suoi irrisolti problemi, se la morale è divenuta una categoria "personale" legata al pragmatismo, come si può uscire dal declino in atto? Il Censis ritiene che la soluzione sia nel rinvigorire i rapporti sociali ma in senso "orizzontale". Perchè essendo venuti meno i punti di riferimento, o essendosi trasformati perdendo in termini di efficacia, le nuove relazioni non si possono che costruire attraverso il ripensamento dei canoni di "autorevolezza", che è cosa ben diversa dalla smarrita "autorità".
L'orizzontalità (o un modello "a stella" che prende il posto dello schema piramidale), va da sé che generi una società più democratica seppure perennemente fragile. Ma questo senso di smarrimento e di limitatezza deve costituire proprio la forza da cui ripartire per favorire e non frenare la naturale evoluzione del sistema. Non sforzandosi di recuperare stereotipi ormai superati e sconfitti, ma attendendo pazientemente che la via d'uscita lì all'orizzonte illumini il buio di questo balordo presente.
Leggi e scarica il Rapporto del Censis "I miti che non funzionano più"