Magazine Disegno e Illustrazione

Autumn Leaves

Da Valeria Nicoletti @ValeNicoletti

Oggi è la vigilia del mio compleanno. Che io lo scriva senza timori e riserve dimostra una certa consapevolezza, quella di aver fatto più o meno pace con quello che è stato sempre un avvenimento controverso del mio abbondante quarto di secolo. Non ho mai organizzato feste, né invitato gli amici a cena, né portato torte in ufficio e la minaccia che mia sorella è solita rivolgermi quando litighiamo è “guarda che ti faccio una festa a sorpresa per il tuo compleanno!”. Ora, non che sia in procinto di organizzare un party indimenticabile sotto la Tour Eiffel, ma non ho neanche l’impulso di nascondermi sotto le coperte e spegnere telefono, computer, cervello, come succedeva fino allo scorso anno.

Orbito alla giusta distanza tra sogno e realtà e penso di aver più o meno raggiunto un equilibro tra lavoro, studio, progetti, utopie e l’infinita burocrazia esistenziale di questa città, tra dichiarazioni di redditi inesistenti, soldi da recuperare qua e là, contratti, certificati e giustificazioni di domicilio da presentare anche per comprare una baguette. Inoltre, tra me e Parigi vige una tregua ormai duratura e abbiamo iniziato a volerci di nuovo reciprocamente bene. Questa città mi regala ogni giorno sorprese, me le ritrovo lungo la strada sotto forma di persone inattese da conoscere, percorsi (o ferrovie abbandonate) da esplorare, biblioteche e librerie che spuntano a ogni angolo, avventure da vivere. E un nuovo appartamento.

A Parigi, ho vissuto circa in 12 case diverse. Chi ha cercato un tetto nella capitale francese almeno una volta nella vita sa che cosa significa tutto questo, le dimensioni incommensurabili che prende quella che dovrebbe essere la semplice ricerca di un alloggio, conosce bene i brividi lungo la schiena alla parola “dossier”. L’idea di cercare un appartamento è stata una fonte di angoscia quotidiana per anni. Ho passato mesi a lasciare messaggi in segreteria, scrivere e-mail, spulciare annunci, inventarmi soluzioni provvisorie. Ho assistito a veri e propri colloqui dell’assurdo, e a volte ne sono stata la protagonista, se non la vittima, cercando di convincere il padrone di casa a fidarsi di me, supplicandolo di darmi una chance, corrompendolo promettendo dieci mensilità in anticipo, tutto per avere un misero posto letto in uno studio di 10 metri quadri, al prezzo di un normale appartamento per due nelle altre città.

prima

Sono volata da un subaffitto all’altro, vivendo permanentemente in condizioni temporanee. L’instabilità è diventata la normalità e ci si abitua giorno dopo giorno alla precarietà, a fare le valigie in pochi minuti, a organizzare i traslochi alla perfezione, ad avere almeno tre domicili, a ricevere la corrispondenza in posti diversi e andarsela a recuperare perdendo giornate intere, a prestare sempre attenzione quando si parla di alloggi e case. Però, alla fine, mi sono divertita e conosco benissimo quasi tutta la città di Parigi, anche per via di tutti gli indirizzi che ho accumulato negli anni. Quando un amico si trasferisce in un quartiere, so consigliargli negozi, bar e anche il supermercato meno caro e io ho collezionato ricordi in tantissimi posti diversi.

La mia prima casa è stata un bed & breakfast di Oberkampf, a casa di un’elegante donna in carriera. All’epoca ero una stagista dell’Ambasciata d’Italia a Parigi, passavo la maggior parte del tempo nei quartieri più ricchi, vicino alla Tour Eiffel e pensavo di essere lontana da tutti i centri nevralgici della città, ignara che tra Oberkampf e Ménilmontant avrei poi trascorso quasi tutte le serate dei quattro mesi a venire. L’anno scorso, invece, mi sono trasferita a Père-Lachaise e ho avuto l’ebbrezza di un appartamento tutto per me, con un contratto vero, dove alla fine ci sono rimasta solo per pochi mesi, prima di saltare dall’altra parte del cimitero, al sesto piano di un palazzo sgangherato. Qui, al secondo piano, abita un’anziana signora che pulisce tutte le mattine la porta di casa perché, un giorno mi ha detto incontrandomi per le scale, qualcuno viene a bussarle ogni giorno e le grida che è tutta sporca. Al primo piano, invece, c’è un bambino dagli occhioni nerissimi che vive con un’altra anziana signora e mi ricordano tantissimo Momo e Madame Rosa de La vita davanti a sé di Romain Gary.

Uno dei miei domicili preferiti è stato un piccolo studio a Bagnolet, vicino place Edith Piaf, l’appartamento di una giornalista che mi ha lasciato casa per tre settimane. Un rifugio accogliente, pieno di cuscini, abat-jour, libri, giornali, tazze una diversa dall’altra e una radio impermeabile da ascoltare sotto la doccia. Tra i peggiori, sicuramente il mese e mezzo in Avenue d’Italie, in una stanza di pochi metri quadri senza finestre, con un materasso buttato sulla moquette polverosa e libri e vestiti obbligatoriamente chiusi negli zaini per mancanza di spazio. I quartieri dove ho vissuto più a lungo sono il ventesimo e soprattutto il tredicesimo arrondissement, nei pressi di Place d’Italie. Conosco benissimo i ciottoli del quartiere Saint-Blaise e del villaggio della Butte aux Cailles, nonché due dei migliori ristoranti asiatici della città e ho scoperto un giorno per caso la Cité Floral, un micro-quartiere isolato del sud di Parigi, un gomitolo di vialetti, dove tutte le case hanno le pareti dipinte di colori pastello e aiuole fiorite e le strade hanno il nome di fiori e arbusti.

Maeve Brennan ha scritto che l’idea di casa è un luogo della mente. Per me, oggi questo luogo è un appartamento semi-vuoto ai piedi della basilica del Sacro-Cuore a Montmartre. Ha la porta verde, le pareti bianche e il soffitto con le travi a vista. Qui tra qualche giorno lascerò definitivamente le valigie e inizierò a sistemare tutti i miei libri secondo il colore delle copertine, come ho sempre voluto fare.

ultima

Ricordo benissimo cosa avevo immaginato per i miei 27 anni quando ero più piccola. Pochi desideri, ma alcuni incredibilmente forti. Quando ho iniziato a lavorare in un pub a 19 anni, a Lecce, avevo ingenuamente pensato di mettere i soldi da parte per trasferirmi a Parigi il più presto possibile. Ero iscritta all’università, ma dopo qualche mese ho smesso di frequentare e ho cominciato subito a lavorare in un giornale. Sognavo di continuare a scrivere, di avere tanti libri intorno, almeno un gatto, di avere la possibilità di viaggiare e conoscere posti nuovi, che fosse anche una strada diversa per tornare a casa o andare al lavoro. Speravo di riuscire a stare sempre bene con la sola compagnia ingombrante della mia persona e di sentirmi in un modo o nell’altro libera di fare quello che mi piace.

A conti fatti, oggi penso di aver più o meno realizzato ogni cosa, con il bonus speciale di una variabile fissa, presente nella mia vita da almeno tre anni. Ancora non so che cosa voglia dire essere felici, sentirsi bene sotto tutti i punti di vista, semplicemente in pace, sicuri di sé, delle proprie scelte, ma alla fine le persone troppo sicure non mi sono mai piaciute, i dubbi sono molto più faticosi ma anche più eccitanti e mi sono sempre sottratta alla schiavitù della felicità a tutti i costi. Come diceva sempre Romain Gary, alla felicità preferisco la vita, e la mia, soprattutto negli ultimi tempi, è quella che mi sono sempre augurata di vivere.

Images © Emiliano Ponzi

Soundtrack: In my mind, Amanda Palmer



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