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Forse è vero che il PCI “è una vicenda conclusa e irripetibile” ma è altrettanto vero che è stata una grande vicenda durata 70 anni e che va studiate e compresa; una vicenda che si è intrecciata con la storia italiana fin a partire dal Risorgimento e difatti fu proprio Togliatti (e in questa mostra ne troviamo testimonianza) a dire che “la classe operaia italiana ha dato prova di saper camminare sul solco aperto dal conte Camillo Benso di Cavour”. In cosa consiste esattamente questo viaggio a ritroso nella Storia che conta del secolo scorso è presto detto: intanto un ritorno (con un po’ di nostalgia) ai fasti del passato attraverso simboli e terminologia di un’epoca che sembra ormai tramontata. Tornano le bandiere rosse, torna il vecchio simbolo del PCI quella falce e martello che per molti è simbolo d’orgoglio, di onestà, di moralità con la prima bandiera quella del 1921; soprattutto torna il colore rosso che ancora incendia i cuori dei puri di spirito. E in questo ritorno la cosa più interessante da vedere sono gli originali dei quaderni di Gramsci che non venivano più esibiti dal 1948 “testimoniano la forza morale e la statura dell’uomo” (Massimo D’Alema). C’è poi tutto l’armamentario della direzione del PCI, con i verbali degli incontri, il Revox che registrava le riunioni della direzione, il proiettore che allietava la Befana dei figli dei funzionari, le bozze dei volantini e dei manifesti elettorali e soprattutto le pubblicazioni che hanno formato i tanti dirigenti del Partito, a partire dalla “Guida al segretario di cellula” del 1950. Ci sono i materiali video, quello più interessante e commovente sembra essere il video di Enrico Berlinguer fra i cui artefici ci sono i fratelli Taviani, il cadavere di Moro e del compromesso storico in via Caetani, l’imponente mobilitazione del 1984 in difesa della scala mobile; e quelli sonori, immancabile la classica versione dell’Internazionale oltre tutta la sezione fotografica con l’archivio dell’Unità in primo piano. Una mostra in cui, stando alle dichiarazioni di chi l’ha già visitata, non vi è nulla di polveroso, di stantio, una mostra da godersi in piena solitudine nei ricordi di quel che è stato il Grande Partito Comunista Italiano, il più grande Partito Comunista d’Occidente; un partito che racconta se stesso “un partito di governo perché partito di popolo, che ha voluto conciliare la classe con la nazione, insegnando alle classi subalterne la difesa della democrazia”. L’Italia è stata, ma lo è ancora oggi, l’unico Paese occidentale dove il comunismo è una categoria politica vivente con una storia complessa che non è separabile dalla storia nazionale e “pesa ancora adesso sul modo di essere dell’Italia di oggi”. E allora se questi sono i presupposti è giusto riportare un piccolo parere di uno dei vecchi militanti (quelli che ancora calzano il basco e al collo hanno il fazzoletto rosso): “Uno come Renzi, dopo la cena ad Arcore, da noi sarebbe stato cacciato”. Forse bisognerebbe ri-iniziare a dar credito a quei vecchi militanti rimasti, visto come stanno andando le cose nel nostro Paese.
Concludere con le parole di uno scrittore che si commuove in tutto questo rimestare di testimonianze e ricordi, mi sembra la cosa più adatta “E’ meraviglioso, è come aprire un sarcofago e scoprire che il defunto è vivo, come trovare dentro l’ambra un insetto che sgambetta ancora” (Fulvio Abbate).
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