Plautus (Photo credit: Wikipedia)
Butto giù nero su bianco qualche riflessione strampalata e poco coesa su una tematica che mi sta molto a cuore. spero si capisca, mi scuso in anticipo per la forma e la poca fluidità del testo: considerateli come degli appunti da sviluppare ancora.
Mai come al giorno d’oggi, se ci guardiamo attorno, ci accorgiamo che l’avidità (ahimè) paga.
L’avidità, sì.
Ho riletto in questi ultimi giorni un bellissimo testo della letteratura latina, che ispirò anche l’Avaro di Molière, parlo di ‘Aulularia’ di Paluto, commedia in 5 atti che parla di un avaro, Euclione, che avendo trovato una pentola d’oro teme che altri la possano scoprire e la possano rubare. L’avarizia lo porta anche a comportamenti ridicoli,paradossali; lo porta ad essere avido e insensibile alle vicissitudini altrui.
Avidità e avarizia, però sono due cose diverse. L’avarizia di intestardisce e si cronicizza nell’avidità; il nostro Euclione però, a un certo punto si sa salvare, donando la pentola d’oro alla figlia, come dote.
Ma gli avari dei nostri giorni, si sanno salvare? Molti no. Anche perchè il possesso di denaro a fiini di prestigio, di potere personale, sembra non essere più biasimato. Anzi è elogiato.
Una volta c’era una precetto che diceva ‘Non rubare la mercede agli operai’. Oggi chi ruba (e mi riferisco anche ad alcuni imprenditori ben noti al mondo dell’opinione pubblica) o chi è più furbo (e sposta le fabbriche in Paesi dove gli operai si pagano meno) è elogiato, posto a modello…
La crisi che stiamo vivendo viene anche da qui. In fondo, proprio come dicevamo gli antichi, unusquisque faber fortunae suae (Ognuno è artefice della sua sorte). Anche questi avari, avidi odierni, prima o poi piangeranno.