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Gli Avenged Sevenfold giungono al traguardo del settimo album (se si considera anche il live del 2008) in una posizione di tutto rispetto nel panorama metal mondiale. Per anni si sono trovati nel bel mezzo di un conflitto tra chi li considerava troppo morbidi e pop per l'heavy metal e chi riteneva fossero troppo duri per essere inseriti nei vari filoni emo o nu-metal. In mezzo a questa insignificante disputa ci sono le contestazioni da parte dei metallari "duri e puri," soprattutto in Italia.Erano i primi anni del successo commerciale della band di Huntington Beach, grazie a dischi come City of Evil e Avenged Sevenfold e, si sa, quando band di questo tipo raggiungono le vette delle classifiche si attirano anche antipatie e critiche. Ancora di più se, nel frattempo, le suddette band, hanno ammorbidito il proprio sound o si spacciano (o meglio, vengono spacciati da una parte della stampa specializzata) per una sorta di nuovi Iron Maiden.Purtroppo questi sono i rischi del mestiere, e bisogna considerare che buona parte della platea dei metal fans italici non è mai stata tra le più aperte di questo pianeta.Oltre a tutte queste sciocchezze di contorno gli Avenged Sevenfold hanno sempre proposto ottima musica. Sin dagli inizi metal-core dei primi due eccellenti dischi (Sounding the Seventh Trumpet e, soprattutto, il capolavoro Waking the Fallen) non hanno mai sbagliato un colpo, anche quando Shadows ha smesso di urlare e le sonorità a base di epico hardcore evoluto e metal estremo sono state quasi completamente accantonate per permettere alla band di dedicarsi alla causa dell'heavy metal classico (con contorno di pop, hard rock e rock alternativo). La loro personale visione di metal moderno, né troppo moscio né troppo violento, né troppo tradizionale né troppo innovativo, gli ha condotti al successo planetario. Ogni uscita discografica degli Avenged Sevenfold dal 2005 in poi si è trasformata in una scorribanda nelle classifiche di mezzo mondo sino all'ultimo, eccellente, Nightmare del 2010. Grazie ad una serie di ballate molto ben riuscite e al loro rock-hard-metal che gronda melodie come una cascata impetuosa.Con Hail to the King hanno messo da parte quasi completamente il contorno ed è rimasto solo hard rock e l'heavy metal puro e classico, con gli immancabili richiami ai Maiden, a qualcosa dei primi Judas Priest, ai Metallica del Black Album, ai Black Sabbath o ai primi Guns'n'Roses.
Ovviamente non si tratta di metal destinato alle frange più estreme degli ascoltatori; del resto, l'heavy metal ha tante di quelle sfaccettature e variazioni sul tema in grado di dividere in modo netto e deciso le varie scene e correnti e relativi ascoltatori.
La copertina lascia intendere un ritorno alle origini metalcore con lo skullbat in bella evidenza su sfondo nero. Praticamente quasi identica alla ristampa di Waking the Fallen. Ma si tratta di un falso allarme, purtroppo...I dieci brani in scaletta suonano compatti e rocciosi, con mid tempo classici e poche accelerazioni, oltre a un paio di ballate (anche queste, manco a farlo apposta, azzeccate) posizionate nei punti strategici.
Gli Avenged partono con il piede giusto con la pioggia scrosciante e i lugubri rintocchi di campane che aprono Shepherd of Fire, ottimo hard-metal insaporito da una lieve sfumatura dark.
La seconda traccia, Hail to the King, è il manifesto del nuovo corso della band: elegante e roccioso heavy-hard-metal condito dalle splendide chitarre guidate dal bravissimo Synister Gates, una melodia contagiosa e lo spettro degli Iron Maiden che l'attraversa in lungo e in largo come se fosse a casa sua.
Il terzo brano, Doing Time, è leggermente più aggressiva e veloce rispetto all'andatura media dell'album; qui pare di sentire la presenza della creatura di Axl Rose sotto mentite spoglie.
Nella successiva This Means War, invece, appaiono i Metallica di "Sad But True." Ma la loro ingombrante presenza non è affatto un problema: il brano fila via che è un piacere, nonostante non brilli particolarmente per originalità.
Il Requiem posizionato a metà scaletta è epica, potente e oscura. Qui prevale la componente gothic e symphonic metal.
Subito dopo arriva la prima ballad, Crimson Day, perfetta per alleggerire il carico e riprendere in un colpo solo una bella fetta di pubblico mainstream. Operazione riuscita in pieno.
Heretic e, soprattutto, Coming Home, sono due buoni pezzi metal con ottime chitarre e Shadows in gran forma dietro al microfono.
Al numero 9 della strada del Re troviamo Planets che si presenta in modo egregio con una decisa componente dark nelle prime note. Nel proseguo del cammino il brano perde qualcosa, nonostante l'orchestrazione campionata in sottofondo e qualche richiamo al tema del Fantasma dell'Opera appena accennato. In ogni caso un buon pezzo.
Chiude il disco l'immancabile ballad: Acid Rain si apre con un piano e viene trasportata nel suo svolgimento da archi e suoni morbidi. Anche qui Shadows da il meglio delle sue corde vocali, l'assolo è al punto giusto e con il giusto pathos. Gli accendini non mancheranno di farsi vedere durante i concerti e il successo, anche per questa volta, è assicurato.
In conclusione: Hail to the King non è sicuramente un capolavoro né il miglior disco degli Avenged Sevenfold ma è difficile staccargli le orecchie di dosso...
Tracklist:
01.Shepherd of Fire
02.Hail to the King
03.Doing Time
04.This Means War
05.Requiem
06.Crimson Day
07.Heretic
08.Coming Home
09.Planets
10.Acid Rain
Warner Bros - 2013
Formazione:
M. Shadows - voce
Zacky Vengeance - chitarre, cori
Synister Gates - chitarre, cori
Johnny Christ - basso, cori
Arin Ilejay - batteria
http://www.avengedsevenfold.com
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