Leggete mai il blog Storie dell’arte?
Aspira a diventare il salotto buono della storia dell’arte italiana.
Premetto che non ho nulla contro Marco Tanzi. Non lo conosco di persona e spesso mi giovo del suo lavoro.
Una volta scrisse che parlavo di un quadro su tavola come se fosse su tela. Era su tela veramente, ma a suo parere ce n’era comunque abbastanza per darmi dell’imbecille nero su bianco.
Come dargli torto, in fondo.
A parte questo, ripeto, non ho nulla contro Tanzi.
Su Storie dell’arte ha scritto un toccante ricordo di Alessandro Conti (qui).
E’ un testo illuminante, che andrebbe fatto leggere a tutti gli aspiranti storici dell’arte.
Lasciamo da parte le parentele illustri (che uno non si può scegliere, dopo tutto) e le loro influenti amicizie.
Tolgo solo una frase. In apertura, l’autore parla di Conti e Massimo Ferretti: “Avessero quell’età adesso, trentadue e ventinove anni, Alessandro e Massimo sarebbero, forse, precoci dottorandi: loro insegnano già all’università di Bologna”.
Chi non capisce la diabolica soddisfazione che si cela sotto questa frase, è meglio che abbandoni subito la carriera universitaria.
Cerco di spiegarmi meglio. Conti viene ricordato come “un vero maestro che si spende totalmente per i suoi studenti, per farli appassionare, come assillato da una costante preoccupazione pedagogica”, e ha insegnato che “non ti devono stufare le domande spesso banali degli studenti sulle opere, sul come e sul perché delle cose”.
Benissimo. Ma adesso? Come sono questi studenti? “Adesso il più delle volte ti si chiede dove si possono trovare le fotocopie o se si deve studiare da pagina tale a pagina talaltra”.
Capito? Lo storico dell’arte deve stimolare la curiosità dell’allievo. Ma gli allievi oggi non sono stimolati, chiedono solo di fotocopie.
Di chi sarà la colpa, a rigor di logica?
Allievo non stimolato = docente non stimolante.
Invece no.
E qui si ritorna all’inizio.
A Conti e Ferretti strutturati a trent’anni. Merito loro, certo (lo dico senza ironia). Ma oggi è impensabile, a trent’anni si è “precoci dottorandi”.
Perché voi a trent’anni entravate di ruolo e noi (quelli di noi senza zii o amici, intendo) dobbiamo annaspare fino a chissà quando?
Come mai noi siamo diventati cretini?
Perché i vostri maestri vi portavano per mano in cattedra, e voi invece avete lasciato andare tutto in vacca?
Chi ha mai rivolto questa domanda a un qualsiasi docente certo ricorderà di aver visto scorrere nei suoi occhi vuoti la scritta “CAZZI VOSTRI”.
Avessero quell’età adesso, trentadue e ventinove anni, Alessandro e Massimo sarebbero, forse, precoci dottorandi: loro insegnano già all’università di Bologna.
Così. Come se tutto fosse capitato per caso.
E invece quanta fatica. Quanti concorsi truccati, quanti verbali precompilati, quanta merda accumulata per sbarrare il passo a chi seguiva.
E adesso, col culone sul cattedrone, finalmente la soddisfazione di voltarsi indietro a contemplare il massacro.
Guardi che schifo, signora, questi bamboccioni ancora a spasso alla loro età. Alessandro e Massimo, sa quanti anni avevano? Altri tempi, d’accordo. Ma in fondo in fondo… ci sarà pure stato un motivo.