“Avete fiducia in Berlusconi?” E Sarkò e Angelina risero. Ammettiamolo, siamo un popolo di malati cronici (e di cronisti bacchettoni)
Creato il 24 ottobre 2011 da Massimoconsorti
@massimoconsorti
Ieri l’Italia ha toccato il fondo della vergogna della sua centocinquantennale storia patria. Non avevamo mai assistito, nel nostro pur rutilante scorrere di primavere, al dileggio con il quale è stato accompagnato il nome del presidente del consiglio in una occasione ufficiale. Neppure quando venivano nominate mezzeseghe balneari democristiane, neppure quando l’inquilino del Quirinale aveva mostrato le corna agli studenti di Pisa e neppure quando un certo Lamberto Dini aveva occupato le stanze di Palazzo Chigi anche per permettere alla consorte di curare gli affari di famiglia in Costarica. Conferenza stampa di chiusura del Consiglio Europeo. Dice la Merkel: “Abbiamo chiesto alla Grecia di mantenere e attuare tempestivamente i provvedimenti concordati con il rappresentante della Ue, della Bce e del Fmi. Abbiamo dato tre giorni di tempo all’Italia per predisporre un decreto per lo sviluppo e un piano per la crescita dettagliato e con scadenze non procrastinabili. Complimenti alla Spagna che è fuori dal disastro”. Alla domanda se l’Europa ha fiducia in Berlusconi, la Merkel ha guardato imbarazzata Sarkò come a dire fantozzianamente: “Prego facci lei”, e sono scoppiati a ridere. Proprio così. La Francia e la Germania sono scoppiate a ridere come se il giornalista avesse pronunciato uno sproloquio motivo di ilarità generale e globalizzata. Se Silvio non avesse detto appena il giorno prima che con la Merkel “era tutto a posto”, la cosa poteva anche passare come sempre in cavalleria, ma questo fatto è l’ulteriore dimostrazione che Silvio mente come un bambino un po’ scemo che nega di aver rubato la marmellata quando ancora gli cola dalla bocca. Ma poi ha parlato lui, Berlusconi, che non sapeva come rimediare a una figuraccia storica. Allora lo ha fatto ricorrendo ancora una volta alle responsabilità degli altri. Se la colpa del suo sputtanamento planetario è dei giornali della sinistra, se la causa della sua persecuzione giudiziaria è la magistratura brigatista, se Pompei crolla per la pioggia e se per le intercettazioni telefoniche birichine tira fuori il maggiordomo Alfredo, per giustificare la risata di Sarkò ha tirato in ballo nientemeno che Lorenzo Bini Smaghi che non si dimette dal board della Bce per far posto a un francese. Questa non è più neppure una farsa, è una tragedia nazionale. Se la nostra credibilità viene sommersa dalle risate forse è arrivato il momento che il Colle si assuma le sue responsabilità. Ieri sera, Gianfranco Fini, ospite di Che tempo che fa, ha dato l’esatta dimensione dello stato dell’Italia e definito puntualmente quali sono le colpe del presidente del consiglio rimproverandogli, in primis, di aver regalato alla sinistra due battaglie storiche della destra italiana, quella per la legalità e quella per la giustizia sociale. Non ha rinunciato, il presidente della Camera, a sottolineare le ragioni personali per le quali Silvio non fa un passo indietro e men che meno, a dire a chiare lettere che se sta ancora lì è perché deve risolvere un po’ di problemi giudiziari. Se non fosse che molti di questi problemi durano da tempo immemorabile, e che da vice presidente del consiglio qualche porcata l’ha votata pure lui, Fini sarebbe quasi credibile ma così, evidentemente, non è e non potrà mai essere. Non ha perso occasione, l’onorevole presidente Fini, di stigmatizzare l’atteggiamento della diplomazia italiana, e del presidente del consiglio in particolare, sulla vicenda del Cojonello Gheddafi. Dalla sua Fini ha l’annullamento della visita del Rais di Tripoli alla Camera dei Deputati causa ritardo, ma l’amicizia di questo governo con l’ex dittatore non si può dire che sia nata dopo la creazione di Fli. Ergo, la real politik regge sempre, anche quando dall’altra parte ci sono dittatori sanguinari. Fini, però, ha fatto di più. Ha elencato puntigliosamente tutti i delitti di cui si sarebbe macchiato Gheddafi arrivando quasi a giustificarne la violenta dipartita, anche se non in quel modo e non con l’accanimento su un corpo esanime. E così si torna sempre al solito discorso di come si debba discutere con la morte. Se dopo la fine del percorso terreno debba subentrare una umana pietas oppure se i misfatti compiuti in vita rendano in qualche modo giustificabili atti di violenza all'apparenza gratuita. Da sempre fautori della teoria che la storia la si vive e che per giudicarla occorrerebbe essere dove la si fa, non ci permetteremmo mai di avallare atti come quelli che i libici hanno compiuto nei confronti del corpo del Cojonello, ma neppure di inserirli nell’elenco delle barbarie punibili dal tribunale internazionale dell’Aja. È come se una decina di ebrei sopravvissuti ad Auschwitz, finita la guerra, si fosse trovata di fronte Adolf Hitler, cosa sarebbe accaduto? Sarebbe arrivato vivo a Norimberga? E quelli che nei campi di sterminio avevano perso mogli e figli, siamo sicuri che avrebbero adottato un perfetto stile da englishmen e non invece, indossato i panni di un carnefice qualsiasi? E se proprio volessimo guardare il pelo nell’uovo, potremmo dire che nel 1945 i telefoni cellulari non esistevano e che per fare foto o girare filmati occorrevano apparecchiature molto più ingombranti, le stesse che sono state usate per mostrare al mondo i cadaveri di decine di migliaia di ebrei gettati nelle fosse comuni e cosparsi di calce viva. Non ci piacciono i giornalisti bacchettoni né quelli che decidono preventivamente cosa mostrare e cosa no e si arrogano di parlare a nome e per conto della morale o del buon gusto. Anzi, a volte è una sorta di terapia d’urto indispensabile. Dovunque meno che in Italia perché, da quando c’è Silvio, immagini come quella di Gheddafi torturato da vivo e da morto, vengono fatte passare per la festa di Halloween.
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