piante di pomodoro.
Inquinamento, afferma il dizionario, è l’atto di insudiciare o di infettare. Nell’uso corrente di questi ultimi anni, questo termine è venuto assumendo un significato molto più grave dell’insudiciare e infettare l’ambiente di vita degli uomini e, più in generale, il pianeta su cui viviamo, fino a dare corpo alla previsione che la prosecuzione incontrollata e irresponsabile dell’inquinamento possa condurre alla estinzione di ogni forma di vita sulla terra. Gli inquinamenti si manifestano costantemente intorno a noi con la modificazione dello stato dell’aria, delle acque, del suolo e degli alimenti per la immissione di sostanze nocive. L’inquinamento atmosferico è provocato dalla diffusione nell’aria di gas, fumi, vapori, polveri eccetera derivanti dagli scarichi degli impianti industriali, dai residui della combustione nei motori a scoppio, dagli impianti di riscaldamento domestico eccetera. L’inquinamento delle acque interne e marine è causato dall’introduzione di sostanze nocive e chimiche, microbiologiche, radioattive attraverso i rifiuti degli impianti industriali, attraverso le reti fognanti ed i rifiuti urbani, attraverso i residui delle sostanze chimiche usate in agricoltura, eccetera. L’inquinamento del suolo è un derivato di tutti i precedenti e così l’inquinamento dei cibi, il quale è aggravato dalle adulterazioni, dalle sofisticazioni e dalla introduzione di sostanze nocive come coloranti e conservanti. La gravità del fenomeno dell’inquinamento supera tuttavia i limiti di una classificazione schematica come quella qui presentata, soprattutto per il suo carattere di globalità. Tutto ciò che viene buttato nell’atmosfera ricade sulle acque e sul terreno; tutto ciò che viene buttato nelle acque si infiltra nella terra e, viceversa, tutto ciò che viene gettato sul suolo si diffonde nelle acque. Le sostanze inquinanti sono per queste ragioni penetrate nelle piante e negli animali e sono quindi entrate nelle catene alimentari; il bersaglio finale di questa circolazione dell’inquinamento è perciò l’uomo. Le cause profonde di questo stato di cose, sono da ricercarsi, secondo noi, nel tipo di sviluppo industriali provocato dal meccanismo del profitto che è la colonna portante della società capitalistica. La fabbrica capitalistica moderna è al centro del fenomeno dell’inquinamento. La spinta predominante nella determinazione della sua struttura, della sua collocazione territoriale, della funzione che le è richiesta è costituita dall’obiettivo del guadagno, al di sopra di ogni altra. Il livello più alto di nocività si determina, quindi, nei confronti dei lavoratori che i capitalisti tentano di costringere a produrre in condizione ambientale-limite di nocività e di tossicità, perché la ricerca del profitto non consente che si rovesci l’attuale assetto produttivo, subordinandolo alla salute dei lavoratori. Ma la fabbrica inquina per le stesse ragioni anche l’ambiente esterno coi rifiuti liquidi, gassosi, solidi, determinando nell’ambiente di vita degli uomini, specie nelle città, stati di tossicità troppo spesse superiori ai limiti di tollerabilità e comunque costantemente crescenti. Anche in questo caso, la spinta alla ricerca del profitto non consente che il diritto della collettività ad un ambiente salubre prevalga sul diritto che i capitalisti credono di avere di espellere tutti i rifiuti della fabbrica nell’aria, nell’acqua, nel suolo, senza misure e controlli. Il meccanismo di produzione capitalistica è inquinante anche per il tipo di sviluppo economico che determina, fondato sulla spinta più esasperata all’espansione dei consumi, che trascina con se la dimensione enorme dei rifiuti che si è venuta determinando. E’ soprattutto l’esasperata spinta alla ricerca del profitto che ha determinato l’ingigantimento del consumo dei detergenti, che trasferiscono nelle acque di scarico sostanze di altissima tossicità e indistruttibili, cariche di conseguenze distruttive per la vegetazione adiacente i corsi d’acqua. E’ la stessa esasperata spinta che provenendo dai monopoli internazionali della chimica determina l’impiego più elevato possibile e incontrollato di fertilizzanti e antiparassitari in agricoltura. I fertilizzanti provocano uno sviluppo impressionante della flora sommersa, fino alla soffocazione e all’avvelenamento delle acque sotterranee e alla drastica riduzione delle riserve, ciò che ha conseguenze gravissime per il deficit di acqua che già si è venuto profilando. Gli antiparassitari hanno in generale determinato soprattutto una accresciuta resistenza dei parassiti per selezione naturale, mentre in troppi casi hanno sterminato i predatori dei parassiti sconvolgendo inutilmente un ordine naturale e avvelenando irreversibilmente suolo ed acque col risultato di intossicare e distruggere prodotti indispensabili all’alimentazione. La FIAT può scrivere con orgoglio sul suo giornale che il suo risultato produttivo del 1969 l’ha portata a rovesciare nelle strade un milione e quattrocentottantasette mila autoveicoli in quell’anno, perché questo è il frutto della politica governativa di motorizzazione forzata, ma tutto questo si traduce in una crescita spaventosa della nocività degli ambienti di vita soffocati e disumanizzati dalla marea montante delle automobili, non solo per la quantità terrificante di gas velenosi disseminati nell’aria, ma perché la congestione e il blocco del traffico urbano si traduce in congestione e blocco dei processi biologici, dell’organismo umano e perché, ad esempio, il limite di 90/95 decibel di rumorosità raggiungibile nelle strade più congestionate nelle ore di punta del traffico, è al livello di sicuro danno fisiologico all’uomo. Siamo giunti al punto che la composizione dell’atmosfera dopo essere rimasta immutata per milioni di anni, nell’ultimo secolo ha subìto alterazioni allarmanti con l’aumento ad esempio del quindici per cento di anidride carbonica. L’andamento di questo tipo di trasformazione fa prevedere un altro aumento del quindici per cento entro il 2000 e con ciò avremmo superato il livello minimo di tossicità atmosferica, oltre il quale la vita dell’uomo e degli animali superiori non è più possibile. L’equilibrio tra l’uomo e l’ambiente è stato rotto dallo sviluppo capitalistico nella fase tipica del monopolio e del capitalismo monopolistico di Stato, conducendo alla degradazione biologica del pianeta. Come nell’organismo vivente si determina un permanente complesso di metamorfosi materiali ed energetiche detto metabolismo, così il continuo metabolismo della natura deve permettere la perenne trasformazione delle risorse nei grandi serbatoi naturali, acque interne e marine, aria, terreno, dai quali l’uomo riacquista le risorse che occorrono alla sua vita. Questo processo è sempre più gravemente intaccato dall’inquinamento e dalla rapina e spoliazione della natura operata dal capitalismo. Una nuova contraddizione si è aperta in seno al capitalismo, per l’inquinamento e per il livello raggiunto dallo sfruttamento della natura che ha la stessa matrice ed è anzi tutt’uno con lo sfruttamento della forza lavoro. In pochi anni il nostro paese, per esempio, ha registrato impressionanti trasformazioni. Masse di molte e molte decine di persone sono state spinte all’emigrazione estera, interna, dal Sud al Nord, dalla montagna, dalla campagna, alla città, per l’esasperato processo di concentrazione dello sviluppo economico nei poli prescelti dal monopolio, cui corrisponde l’abbandono, la disgregazione del restante territorio. Muta così lo stato del territorio, procede il dissennato disboscamento, si alterano i rapporti tra atmosfera, umidità, acqua, manto boscoso, terreno, falde acquifere, eccetera. Ne derivano impressionanti fenomeni di dissesto idro-geologico, le spaventose inondazioni del Polesine, del Piemonte, della Calabria e ne discende direttamente il dramma del 9 ottobre 1963 quando 25 milioni di metri cubi di terra cadendo nella diga del Vajont provocarono una valanga d’acqua che spazzò via cinque paesi e provocò 1899 morti e circa mille feriti. Il capitalismo italiano giunto alla fase monopolistica diventa fattore di distruzione del patrimonio naturale del paese e di quello creato dal lavoro dell’uomo. La responsabilità del capitalismo e dell’imperialismo potranno emergere ancora più chiare dimostrando la connessione tra le catastrofi ecologiche e le guerre imperialistiche dove non per caso le armi degli USA si trasformano sempre più in aggressivi di distruzione dell’ambiente: napalm, fosforo bianco, defolianti, erbicidi, gas paralizzanti, dietro cui sta la minaccia delle armi chimiche e biologiche di cui gli USA hanno riserve capaci di distruggere una popolazione pari a mille volte quella della terra. Diventa chiaro così come la difesa dell’ambiente naturale si intrecci alla lotta per la pace, alla lotta per una società che liberi l’uomo dalla schiavitù del profitto. (rilettura: <L’inquinamento> di Sergio Scarpa, PCI 71).
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L’EROINA
La si può immaginare
come sogno fantastico invocare
quando ogni volontà d’avvenire
non è scoperta
né voluta
né combattuta
né perseguita
in quell’èpica scommessa
che è la vita,
dove la cultura, l’intelletto,
l’amore, il dolore, la lotta,
la speranza, la fratellanza
diventano duri cimenti
di menti e corpi
nello sforzo d’essere umani.
L’eroina non è fata né mago
ma semplice orrido suicidio
e non vale la pena
darsi sogno in quell’angoscia
perché nell’artificiale l’umano scompare
e il loro sporco mondo s’ingrassa
ingollando sporca carta moneta.
Aspettiamo l’altra morte naturale
a compimento di vita veramente vissuta
quale esperienza umana
nell’ultima emozione terrena.
-Renzo Mazzetti-
alpolline.
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