Avvenire, il giornale dei vescovi italiani, involontariamente tende l’elogio dei Paesi in cui è stato approvato il matrimonio per le coppie dello stesso sesso. Ovviamente lo fa alla sua maniera con un articolo di Massimo Calvi in cui provocatoriamente si sostiene che «il dibattito sulle nozze gay, oggi, non dovrebbe neanche cominciare». Questa tesi non è sostenuta su basi giuridiche ma considerando che sia più impellente il sostegno alla famiglia coi figli.
Calvi evidenzia che «i Paesi dove vige o sta entrando in vigore una qualche forma di riconoscimento delle unioni omosessuali, sono comunque Paesi lontani anni luce dall’Italia in fatto di sostegno economico alle famiglie con figli» e sono nazioni che «che hanno affrontato e risolto assai meglio dell’Italia quello che dovrebbe presentarsi come il primo diritto fondamentale: sostenere, e non penalizzare, le famiglie che hanno figli da crescere e da educare». Calvi propone il caso della Francia dove «il sistema del “quoziente familiare” rende persino vantaggioso diventare genitori» mentre in Germania «lo stato di famiglia entra direttamente in dichiarazione di redditi e il valore delle detrazioni per figli a carico è almeno il triplo del nostro». A concludere i Paesi scandinavi dove «i servizi per la prima infanzia coprono il doppio del bisogno rispetto al nostro Paese». Attualmente sia in Francia, che in Germania che nei Paesi scandinavi esiste già il matrimonio omosessuale (una realtà nei Paesi scandinavi ed in corso d’approvazione in Francia) o le unioni civili delle unioni omosessuali.
Perciò Calvi, ritenendo che esistano problemi più importanti del matrimonio per le coppie dello stesso sesso, si domanda se «è troppo chiedere alla politica di occuparsi prima di tutto della dolente realtà».
Il pensiero di Massimo Calvi è sulla stessa linea quanto già espresso da Marco Travaglio rivolgendosi al cardinale Ruini e smentisce la tesi spesso avanzata dal mondo cattolico secondo cui l’approvazione del riconoscimento dei diritti alle coppie omosessuali (con il matrimonio o il riconoscimento delle unioni civili) toglierebbe risorse alla famiglia eterosessuale: la situazione di Francia, Germania (ma anche Spagna) e dei Paesi scandinavi smentisce tutto questo.
Certamente è importante (se non vitale) il sostegno alla famiglia con figli ed in Italia si è fatto troppo poco a riguardo ma bisogna i cattolici farebbero bene a recitare qualche mea culpa. Dall’8 maggio 1948 con il Governo De Gasperi della prima legislatura fino al Governo Berlusconi IV rimasto in carica fino al 16 novembre 2011, su 57 governi in 63 anni, 48 avevano come premier un cattolico e solo 9 un laico: due volte Spadolini, due Craxi, due Amato, due D’Alema, una Ciampi, che peraltro si dichiara cattolico. In 63 anni l’Italia è stata governata per 53 anni e mezzo da un cattolico e per nove anni e mezzo da un laico. Dal 16 novembre 2011 è Presidente del Consiglio il cattolico Mario Monti che ha già ricevuto l’appoggio della Cei per le prossime elezioni e che guida un esecutivo in cui ci sono molti esponenti del mondo cattolico (Ornaghi, Riccardi, Passera, Balduzzi).
Se tali leader cattolici (molti dei quali democristiani) avessero fatto per la famiglia quanto promesso e su cui la Chiesa punta sempre la sua attenzione forse le famiglie italiane ora sarebbero più tranquille. Quindi se l’Italia – nonostante Bagnasco affermi che sulle nozze gay l’Italia non deve seguire l’Europa – avesse imitato le politiche sociali di quegli Stati (molti dei quali non hanno avuto la Democrazia Cristiana) in cui i matrimoni per le coppie dello stesso sesso sono una realtà, anche le famiglie eterosessuali vivrebbero meglio.
Allo stesso modo se la Cei avesse speso la maggior parte delle energie impiegate a combattere i diritti gay (che anche Avvenire ammette che non ledono i diritti della famiglia “tradizionale”) per chiedere misure concrete a favore della famiglia, forse la “cattolica” Italia non sarebbe dietro alla laica Germania, Francia, Spagna o Norvegia in quanto ad aiuti per la famiglia.
Legittimamente, allineandosi al pensiero di Massimo Calvi, si può pensare che esistano altre priorità che la politica debba affrontare rispetto al matrimonio gay ma non si capisce per quale motivo i diritti degli omosessuali debbano essere considerati “marginali” soprattutto se pensiamo che il Paese è stato governato principalmente da cattolici e non da gruppi di omosessuali: per quale motivo allora questi ultimi devono pagare per gli errori di una politica che li ha tenuti sempre ai margini?
Da sfatare anche il mito che “esistono altre priorità”: l’organizzazione del Parlamento e del Governo è architettata in modo tale da permettere l’approvazione di misure diverse ma non contrastanti tra di loro. In linea teorica il Parlamento potrebbe calandarizzare lo stesso giorno l’approvazione della legge per il matrimonio omosessuale ed un provvedimento per gli aiuti alle famiglie con figli: nessuna delle due impedirebbe l’iter di approvazione dell’altra.
Purtroppo la Chiesa invece di lottare per misure a favore della famiglia continua a spendere energie contro il matrimonio omosessuale e sempre su Avvenire Assuntina Morresi scrive che «Lo Stato non può e non deve entrare nel merito degli affetti e del privato dei propri cittadini – se non in presenza di reati, ovviamente – ma ha il dovere di indicare con chiarezza qual è il volto della società che intende costruire e promuovere e per questo la nostra Costituzione, all’articolo 29, parla di famiglia naturale fondata sul matrimonio, intendendolo con chiarezza fra uomo e donna, come ha rimarcato anche la Consulta».
È vero che lo Stato «ha il dovere di indicare con chiarezza qual è il volto della società che intende costruire e promuovere» ma questo – bisogna precisarlo – avviene solo nei cosiddetti “Stati etici” che, a differenza del nome, coincidono con le dittature e non negli Stati democratici come l’Italia in cui il legislatore non ha assolutamente il compito di disegnare il volto della nazione ma, anzi, deve adattarsi ai mutamenti spontanei della società.
Allo stesso modo è vero che la Consulta, nella sentenza 138/2010, ha specificato che il matrimonio previsto al tempo dai Costituenti fosse quello tra uomo e donna ma Assuntina Morresi omette di citare che, sempre per la Corte Costituzionale, «i concetti di famiglia e di matrimonio non si possono ritenere “cristallizzati” con riferimento all’epoca in cui la Costituzione entrò in vigore, perché sono dotati della duttilità propria dei princìpi costituzionali e, quindi, vanno interpretati tenendo conto non soltanto delle trasformazioni dell’ordinamento, ma anche dell’evoluzione della società e dei costumi» e quindi «spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette, restando riservata alla Corte costituzionale la possibilità d’intervenire a tutela di specifiche situazioni».
Ovviamente resta sempre più facile battersi, anche con motivazioni fallaci, contro i diritti delle coppie omosessuali (cittadini come qualsiasi altro) piuttosto che chiedere un sostegno concreto per famiglie, giovani e disoccupati: amen.
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