Dopo aver parlato di in mostro sacro, rendo merito (perché no) a uno di quei film “minori” nello star system hollywoodiano, che invece ha i suoi (molti) pregi.
Come catturare gradevolmente l’attenzione dello spettatore per un’ora e 40 minuti (più o meno) di tensione, emozione e divertimento, più la piacevole sorpresa di un certo spessore culturale dato da una correttissima documentazione storica.
“Il 13° Guerriero” è tratto da un romanzo di Michael Crichton, “Mangiatori di Morte”.
E’ stato definito un medieval-fantasy, un film d’avventura, thriller, un horror: è tutto questo e anche qualche cosa di più.
Siamo nell’alto medioevo, prima dell’anno 1000, un giovane arabo, A. Ibn Fahdlan, viene inviato viene inviato come ambasciatore presso il Re di Bulgaria, ma incontra durante un viaggio un gruppo di Normanni, da quelle parti per commercio o scorrerie. Proprio in questo frangente, mentre è ospite nell’accampamento normanno col suo fedele consigliere Melchisidek (un piacevole cameo del sempre bravo Omar Sharif ), viene portata notizia ai vichinghi che nella loro terra d’origine, all’estremo nord, accadono fatti terribili che richiedono il loro rientro, una grave, orribile paurosa minaccia incombe, un “terrore antico”. L’oracolo che i Normanni portano con sé, prontamente interrogato, dice che 12 guerrieri dei loro dovranno affrontare il problema, ma per la riuscita dell’impresa si dovrà unire a loro un tredicesimo guerriero che non sia normanno: ovviamente sarà l’arabo (Antonio Banderas), a partire con i 12 guerrieri vichinghi, in qualità di tredicesimo guerriero…
Inizia un viaggio avventuroso per terra e per mare, durante il quale l’arabo, poeta e un po’ snob, scopre lentamente la profondità e la spiritualità della cultura dei “barbari”; si arriva alle terre dei vichinghi, e qui il mistero e un brivido di paura cominciano ad aleggiare sulla storia: nei villaggi normanni fanno incursione degli esseri primitivi, gli Wendol, tanti, ferocissimi, orridi e cannibali, che arrivano la sera quando cala “la bruma”, sterminano la popolazione e ne mangiano i cadaveri. La superstiziosa gente locale crede siano creature metà uomini metà orsi (poiché i cannibali indossano pelli e artigli d’orso), e la paura è acuita dal fatto che dopo le stragi spariscono all’improvviso così come compaiono. I 13 guerrieri avranno i loro grattacapi per sgominarli.
Il film è ben fatto e davvero godibile e avvincente, il mistero, la magia e la mitologia si fondono rendendolo originale. Scivola via coinvolgendo in modo appassionante, la tensione non viene mai meno. Direi che è persino epico nella sua solida semplicità di film d’avventure.
Ha la piacevolezza di un fantasy, ci sono suggestivi effetti speciali, e in più la parte storica è davvero curata in tutti i dettagli in maniera meticolosa e corretta, al contrario che in tanti filmoni o polpettoni tanto pubblicizzati, magari per la partecipazione di attori più famosi, ma che sono delle boiate (esempi: Troy, Alexander, e in cima Braveheart – bello solo nelle scene di battaglia- con quella mummia di Mel gibson che già proponeva cose improbabili e assurde, come Braveheart-Wallace che mette incinta la futura regina d’Inghilterra… Sono più realistici gli Wendol del “tredicesimo guerriero”!).
L’atmosfera è cupa, notturna, surreale e “nebbiosa”, esattamente come è nelle lande nordiche e il periodo storico è descritto perfettamente, anche nei suoi lati più sgradevoli (la mancanza d’igiene, l’estrema semplicità perfino nella casa del Re delle terre minacciate, che è poco più d’una capanna, e infatti all’epoca le abitazioni in muratura erano molto rare persino fra i nobili d’alto rango), e pure nei costumi, nelle usanze rappresentate e storicamente confermate, persino negli attori, sconosciuti (a parte Banderas e Sharif), ma efficaci sia nel caratterizzare fortemente i singoli personaggi, sia per rappresentare i normanni o vichinghi come dovevano essere: capelli lunghi, barbe incolte, visi rudi, sguardi di ghiaccio, di poche ma efficaci parole.
Degno di nota perfino il pezzetto dedicato al viaggio per il mare del Nord sul Drakkar (= DRAGO), l’imbarcazione dei vichinghi, in mezzo a onde alte decine di metri: l’arabo, non abituato al mare grosso, chiede come mai non si navighi vicino alle coste, un vichingo gli risponde “questo non è mare per navigare vicino alle coste!”. E infatti nella realtà storica, nel mediterraneo le navi navigavano rasente alle coste e solo i vichinghi erano esperti nel solcare il mare aperto.
Il film è pieno d’ironia, i guerrieri vichinghi saranno pure dei tipi rozzi, ma non mancano né di saggezza né di spirito, infatti il film è anche pieno di battute che tuttavia non nuocciono all’aspetto thriller.
Scena – Su suggerimento della regina della terra nordica, il gruppo di vichinghi e l’arabo si recano da una vecchia saggia o strega, per avere maggiori informazioni sui loro nemici e consigli su come sconfiggerli. Mentre camminano la regina che li guida dice che la vecchia “saggia”: “E’ molto anziana, era già vecchia quando mia nonna era una bambina…è anche un po’ matta”. Uno dei guerrieri, spiritoso, sottovoce agli altri: “Chissà che consigli!”.
Gli Wendol, questa popolazione misteriosa e terrificante, non sono tutto frutto di fantasia o solo di antiche leggende! Mi hanno fatto suonare in testa un sacco di campanelli, chiari ricordi di cose lette e/o studiate: anche se forse nel film molte cose saranno state modificate (ed esagerate) da particolari inventati, adatti a farne un film fantasy e horror.
Il loro simbolo, nel film, è un amuleto che indossano, identico alla Venere di Willendorf : le creature terrificanti che mangiano i morti adorano la Grande Madre. La vecchia saggia dice che per sconfiggere questi uomini-orsi bisogna prima uccidere quella che loro venerano come sacerdotessa del più antico culto del mondo, quello della madre Terra: “lei è la terra, cercatela nella terra”, vale a dire nelle grotte.
Storicamente, c’è stato davvero uno scontro fra le civiltà matriarcali (la fenicia, l’assiro-babilonese, la celtica…) e quelle patriarcali che vennero progressivamente a sostituirle, circa 5500 anni fa (erano le civiltà del ferro che s’avvicendavano alle civiltà del bronzo).
Fu con l’avvento delle stirpi indoeuropee, provenienti dall’ Asia Centrale e aventi lo stesso ceppo genetico, culturale e linguistico che ha generato sia gli abitanti della Scandinavia che quelli della Persia: la cosiddetta razza Ariana; l’arabo, il greco, il latino, l’inglese, il tedesco hanno lo stesso ceppo (sono tutte lingue indoeuropee) .
La religione musulmana appartiene a una società patriarcale come lo è anche la società dei vichinghi, dalla religione “animista” o “pagana”. Per questo nel film simbolicamente combattono insieme quello che è definito nei dialoghi “un terrore antico”: gli ultimi residui focolai delle antiche società matriarcali, che ancora resistevano realmente intorno all’anno 1000 nelle regioni più selvagge del mondo allora conosciuto.
E davvero questi focolai di società matriarcali residue si identificavano nell’orso e vivevano nelle caverne, come quelli del film e del romanzo, perché la caverna per loro rappresentava il ventre della madre terra.
In area Mediterranea le società matriarcali erano state “debellate” molto tempo prima: I Dori avevano piegato Creta dopo aver invaso la Grecia , i Persiani avevano sottomesso i Fenici e gli Assiro-Babilonesi (che per secoli erano stati la spina nel fianco del popolo ebraico, il cui Dio era sempre minacciato dai culti dei (matriarcali) Fenici e Babilonesi, leggi Antico Testamento); i Romani, cugini dei Dori, spodestarono i post-matriarcali etruschi e poi sterminarono i Cartaginesi, di origine fenicia, arrivando a dominare tutto il Mediterraneo.
E poi arrivarono il Cristianesimo e la religione Musulmana…le antichissime società matriarcali furono sepolte da stratificazioni religiose, sociali, culturali…
Per questo dico che questo film così avventuroso, ed eroico da sembrare un fantasy, mi ha colpita per la documentazione corretta riguardante i particolari storici e simbolici, persino quelli che non possono essere colti da tutti.
Bè, una volta svelato il mistero dei Wendol, appurato che non sono creature sovrannaturali come la superstizione degli abitanti del luogo vorrebbe, scoperto il modo di colpirli nonostante la loro superiorità numerica, inizia la parte epica e spettacolare del racconto.
Le battaglie sono aspre, precedute da agghiaccianti silenzi, la violenza c’è ma non è ostentata, non manca la spettacolare abilità nell’uso delle armi bianche. E’ un manipolo di pochi che combattono contro molti, coraggiosamente rassegnati a morire, ma consapevoli che sarà un grande onore.
Bella la scena in cui, prima dello scontro finale, l’Arabo dice la sua preghiera ad Allah e i cavalieri normanni dicono la loro, corale, rivolta agli dèi del Vahlallah (video da YouTube). Bei combattimenti.
Un’ultima osservazione: il film gioca molto su ciò che si vede e ciò che realmente è. Per insegnare all’Arabo inesperto questo concetto uno dei suoi 12 compagni, di corporatura normale, si batte in duello, a scopo “di esempio”, con uno scagnozzo del figlio traditore del Re, un uomo gigantesco: sulle prime finge di avere la peggio, poi con enorme facilità e abilità mozza la testa al gigante. Poi dice all’arabo: “Qualsiasi sciocco sa calcolare la forza: bisogna tener conto di ciò che non si vede, e temere quello che non si conosce”.
Che poi è il succo dell’intera vicenda: la lotta inquietante contro l’ignoto e l’invisibile.
Direi che il regista John McTiernan si auto-cita, essendo lo stesso regista del film Predator, altro horror, con una inquietante presenza invisibile e letale!
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