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Azienda Ospedaliera Universitaria Palermo o U.A.O.P.: Un cc’Arristaru mancu l’Occhi pi Chianciri

Creato il 20 agosto 2012 da Abattoir

lunedì 20 agosto 2012 di

di Giorgia D’Ignoti

Diversamente dal Corso di Laurea in Medicina, gli studenti infermieri sono sottoposti, fin dall’inizio, al tirocinio in reparto.
Inutile descrivere ciò che succede al primo turno in corsia: persone che si vantano di aver vissuto a pane e C.S.I. svengono di fronte ad una ferita infetta o ad un odore non particolarmente invitante; altri invece, giovani James Bond in erba con licenza di uccidere, effettuano prelievi ed esami che anche gli infermieri con vent’anni di esperienza hanno delle difficoltà ad eseguire. C’è chi elegge come mentore il proprio tutor/infermiere, con tanto di cappelletta privata nella stanza e fotografie sotto il cuscino da baciare ogni sera, e c’è chi critica qualunque cosa veda fare diversamente da quanto viene insegnato sui manuali. C’è chi sviluppa un cinismo sorprendente che dovrebbe fungere da protezione contro il coinvolgimento emotivo, e c’è chi per il troppo coinvolgimento fugge a gambe levate, per andare a lavorare in tutt’altro ambiente.

Sono una studentessa infermiera e ho visto ognuno di questi tipi di persone attorno a me. Ciascuno di noi reagisce differentemente all’esperienza in reparto, ma se qualcosa ci accomuna, è quella di essere studenti del rinomato, iper-tecnologico, Policlinico di Palermo. È per questa ragione che dovrei aggiungere un’ultima categoria a quelle prima elencate: lo studente che si scoraggia e che vorrebbe mollare tutto, di fronte alla realtà che offre la sanità palermitana.  
Lungi da me impelagarmi in una discussione critico-politica; la nostra sanità è quella che è, lo sappiamo tutti, chi più chi meno. Tuttavia una domanda preme, preme così tanto da non poter evitare che venga fuori: i signori che si riuniscono per decidere quanti soldini vadano ad un ospedale e quanti ad un altro, sanno realmente a cosa sono destinati questi soldi?
Ho vissuto due anni a stretto contatto con le persone ammalate, leggo nei loro occhi la sconfitta che fa a botte con la speranza. Ho visto denti stringersi per nascondere il dolore e mani abbandonarsi tra le mie alla ricerca di un conforto. …Con che coraggio posso spiegare quello che siamo costretti a vivere ogni giorno e che siamo costretti a far subire a loro?
Un esempio come un altro. Arrivo in reparto una mattina e scopro che mancano tutte le siringhe, ad eccezione di quelle da 20 ml, il cui ago sembra venir fuori da uno dei Saw – L’Enigmista e che se fa paura già a me, figuriamoci a quel poveretto a cui tocca il prelievo. E, per la cronaca, le vene mica sono come quelle che vedete sulle vostre braccia, tubi che sembrano autostrade americane a quattro corsie! Il più delle volte, in pazienti sofferenti, anziani, con malattie cardiache o vascolari, le vene sono introvabili, minuscole e fragili per le quali l’ago dovrebbe essere di dimensioni minime. Mancano le siringhe adatte, e che si fa? Buchiamo tre, quattro volte il malcapitato con quegli spiedini sterili e ci auguriamo che la sua soglia del dolore sia alta, anche se sappiamo che non facciamo altro che mentire a noi stessi per alleviare il peso della nostra colpa. Che poi, se dobbiamo dirla tutta, colpa non ne abbiamo; ma quando dopo atroci sofferenze, il paziente ti sorride e ti ringrazia per le cure che gli stai dando… come fai a non provare vergogna? Come fai a non pensare che se gli strumenti fossero tutti a nostra disposizione, le cure sarebbero migliori?

Un infermiere utilizza un martello pneumatico al posto di una siringa su un povero paziente poichè le siringhe sono finite

Vignetta di Andrea Ventura

Sono una studentessa e, in due anni, ne ho viste di cotte e di crude. Ho visto chiudere un intero reparto perché non c’era un tecnico che aggiustasse l’ascensore, ed ho visto tenere aperto un reparto in cui si era diffusa una malattia infettiva, in modo da non alzare un polverone.
E sebbene dentro al meccanismo ci sia anche io, e sebbene io debba ingegnarmi a trovare soluzioni che sopperiscano alla mancanza di risorse, e sebbene a volte io sia costretta a chiudere entrambi gli occhi di fronte alle ingiustizie che imperano in quello che, più che essere un ospedale, è una giungla… mi chiedo: quando ci renderemo conto che a farne le spese sono degli esseri umani come noi? Quando ci renderemo conto che se ci muovessimo per far migliorare il sistema, potremmo beneficiarne tutti?

A volte capita che un paziente reagisca con rabbia e, in cambio delle nostre “attenzioni”, ci regali insulti e auguri poco gentili che ci vedono condannati al suo posto. Noi andiamo avanti, qualcuno col cinismo di cui parlavo all’inizio, ma riflettendoci su un istante… e se capitasse a noi?


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