Se escludiamo l'ambito lavorativo, quale posto occupa il tuo blog nel volume complessivo della tua scrittura?
Intanto, non posso reprimere un moto d’orgoglio: essere intervistato! In quanto blogger! Bene, si tratta di uno di quegli appagamenti della vanità tali che potrei anche morire adesso, sazio di giorni come si dice nella Bibbia: lasciare un segno, anche piccolo, l’ho lasciato. Non ambisco ad altro, tranne che all’annullamento con l’Essere degli esseri. No, per carità, non mi prendere alla lettera. In fondo posso ancora scrivere qualche altra riga, non è vero?
La tastiera è tutta tua. E poi, chi ti ferma?
Se fossi costretto a scegliere un genere letterario per uniformare (sic!) il tuo blog, cosa sceglieresti?
Roberto Oddo, lei ha studiato alla Sorbonne, mi dica la verità! È proprio della scuola francese provare a unificare, rendere uniforme, monizzare, ridurre ogni forma letteraria o ogni forma della letteratura a sistemi rassicuranti e immediatamente percepibili.
Sì, beh, ricordo un compagno di corso un po' intollerante come me, si chiamava Roland, fammici pensare...
Sinteticamente, no? La verità è che si tratta di una domanda difficile! Ci sono stati dei periodi in cui sicuramente Apriekiudiletendestan assomigliava più a un diario che ad altro. Sebbene il genere del diario abbia sempre aborrito. Altre volte ho lasciato prendere pieghe (e piaghe) più da raccolta di racconti, o anche (che è peggio) da poema in prosa. Oggi mi sembra di stare orientando il blog verso l’agitazione culturale in quanto tale. Insomma, è un mostro dalle mille facce e dai mille umori. Mettiamola così: è un romanzo. Anzi: è un romanzo?
Tu sfrutti biecamente la mia passione per le domande. Ma qui ho io il controllo della situazione e rincaro! Il blog è uno spazio aperto, anche quando chiudi le tende... Pensi che si possa parlare di una perdita di "intimità intellettuale"?
No, e perché! Se scriviamo vogliamo essere letti, non è vero? Se provassi qualche pudore non scriverei. Infatti quando ho sentito addosso la vergogna dello scrivere, o la paura dello scrivere, non l’ho fatto, e anche di questo ci si può rendere conto leggendo il mio blog. Soprattutto all’inizio, quando non ero abituato alla scrittura su Rete, temendo di apparire sciocco serravo le tende con dichiarazioni talmente definitive da risultare, queste ultime sì, ridicole. Non mi spaventa scrivere. È un metodo che, mi sia permesso dire, penso di dominare. Ed è il solo attraverso il quale posso dire “io sono”. L’intelletto deve esprimersi, correre per il mondo, confrontarsi. Altrimenti si atrofizza. E perdiamo occasioni di conoscenza. L’intimità la intendo per le convinzioni religiose, per gli affetti; per l’intelletto non potrei: significherebbe spegnerlo.
Ricordi qualche caso di palese fraintendimento di uno dei tuoi post? Pensi di lasciare lo spazio aperto a interpretazioni alternative?
Sì, talvolta non sono stato capace di rendere chiaro cosa intendessi scrivere, ed è successo anche quando desideravo essere il più univoco possibile. Ricordo un post in cui parlavo di Grande Fratello intendendo le forze operanti nella società per controllarci e livellarci, orwellianamente, e una mia lettrice mi rispose in merito alla trasmissione televisiva. Non sbaglia mai il lettore, sbaglia sempre lo scrittore. Ma la cosa non mi terrorizza. In realtà non c’è in ballo alcuno sbaglio. Si tratta di intenzioni differenti. La mia, non vorrei apparire paradossale, resta mia soltanto, anche se condivisa. Ciascuno abborda la scrittura altrui secondo le proprie intenzioni, le proprie richieste di senso. Più una scrittura è capace di suscitare appagamento alle svariate varietà di richieste di senso, più funziona. In tal senso, sarei a dir poco felice se una mia riga, intesa e scritta secondo una mia personale pulsione possa rispondere ad altre pulsioni. Per il momento chiudo le tende. Ma a breve scadenza apriamo quelle di Das Kabarett, non è vero?
Mhm, il sipario, direi.