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Babbo Natale di classe

Creato il 22 dicembre 2013 da Albertocapece

2488525-senato_-1Anna Lombroso per il Simplicissimus

Ci sono episodi e incontri folgoranti che favoriscono la conoscenza e quindi la coscienza. Da bambina ho avuto consapevolezza delle disuguaglianze e dell’iniquità crudele che le muove in un Natale nella villa di amici dei miei genitori, quando il padrone di casa travestito da magnanimo e burbanzoso Babbo Natale, distribuì doni scelti apparentemente a caso in una grande gerla, ai bambini di dipendenti e maestranze della sua azienda. Così quelli più grossi che strabordavano dal cesto,andarono ai bambini dei più fedeli e contigui alla dinastia, schierati in prima fila, riconosciuti  e chiamati per nome, che poterono scartare  febbrilmente scatoloni di meccano, trenini e grandi bambole parlanti, mentre in fondo, sommersi, restavano involtini di libri educativi e edificanti, involti con guanti e  sciarpe ruvide, più adatti a meno noti, meno contigui, sommersi anche loro. E per chi non era stato invitato, niente strenne.

Mi   sono ricordata di quei doni, elargizione a una sudditanza compiacente, in occasione delle dichiarazioni del segaligno premier senza berretto col pompon ma con altrettanto cinismo selettivo, che rivendica come in uno spot che  ci perseguita puntualmente ogni anno, di non essere Santa Claus, ma un prudente pater familias. Deve aver avuto un’infanzia infelice se fa suo un uso di mondo di selezioni crudeli e implacabili tra figli e figliastri, tra meritevoli di omaggi ben impacchettati e quelli cui invece non tocca  niente, salvo qualche punizione. Perché quella  dissipata, occasionale e apparentemente scriteriata distribuzione di quattrini chiamata Legge di Stabilità, così come misure irrazionali, aberranti  e estemporanee per via della eufemistica di governo sono state chiamate riforme, segue invece criteri rigidissimi: premiare influenti gruppi di pressione, aggressivi postulanti da cui riscuotere gratitudine pronta cassa, riconfermare un sistema di privilegi e licenze, compreso un condono promettente di altri a seguire, a chioschi e stabilimenti abusivi nelle spiagge, comprese le norme per punire comuni e regioni ostili a  limitare l’installazione delle micidiali macchine succhia soldi, tutte misure intese a riaffermare la necessità irriducibile di sancire le differenze, di trasformare i diritti   in benevole elargizioni e le garanzie in arbitrari privilegi.

È un padre di famiglia feroce, un Robin Hood al contrario, quello che   toglie ai poveri per dare ai ricchi e al suo “ceto”, intento a difendere sostanziose indennità, con le eccezioni di M5S e della Lega che si è astenuta, molto rimproverati dalla manierata Presidente che preferisce il bon ton alla trasparenza, retrocedendo la questione morale a questione di etichetta, quando  ai costi della politica si fa fronte restituendo a un muscolare immobiliarista i pingui canoni dovuti per l’affitto di vasti uffici parlamentari, incautamente aboliti da un emendamento del solito grillino.

Eppure perfino Confindustria sospetta che la crisi, ma anche le ricette per fronteggiarla  abbiano  provocato “danni commisurabili solo a quelli di una guerra”, eppure i disoccupati sono raddoppiati e i poveri sono aumentati di tre milioni,  eppure fermenti di collera, sussulti di rabbia incontenibile serpeggiano nel paese, eppure si allarga la voragine che divide chi non ha, non ha più, non ha mai avuto, da un ceto remoto, sprezzante, impotente e inadeguato, che agisce in preda a una hybris folle e potenzialmente suicida.

Promuovono grandi eventi, perseguono il folle disegno edificatorio di grandi opere invasive e pesanti, spingono nella direzione della privatizzazione dei beni comuni, assecondando un progetto di crescita che dovrebbe realizzarsi senza rimuovere le differenze, senza preoccuparsi della ridistribuzione degli utili, indifferenti alla qualità degli investimenti e dei profitti, incuranti della stagnazione dei redditi, dell’indebitamento di larghi segmenti di cittadinanze  e della contrazione irreversibile dei consumi, perché è sulle disuguaglianze che si colloca la superiorità inviolabile dei loro padroni e la loro.

Si vede che non siamo stati buoni, se la nostra sovranità si regala a poteri sovranazionali, se i nostri diritti si omaggiano a un padronato senza frontiere che ci vuole mobili, spaesati e ridotti in servitù, se il nostro patrimonio artistico, monumentale  e paesaggistico è in svendita come in un mercatino di Natale, se la nostra Carta non serve nemmeno ad avvolgere un sistema elettorale che sostituisca quello delegittimato, se ci siamo fatti togleire quella democrazia che avevamo avuto in prestito e che dovevamo conservare.

 


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