"La chiamano in tanti modi: bus dei dannati, vagone merci, corriera dei marucchitt. Parte da Loreto e fa avanti e indietro per via Padova, su fino al Quartiere Adriano. Parte al mattino, parte al pomeriggio, l'ultima parte di notte, alle due meno dieci, quando è vuota o punteggiata di ubriachi. E' famosa e in provincia se ne dicono di storie: ma le storie cambiano faccia a ogni giro, e bisogna stare attenti a chi le racconta. Tu fai così: tieni alle spalle la piazza con l'orologio digitale, l'ultimo morso del centro prima dei quartieri a nord, quel palmo di strade che separa la città delle guide dalla periferia, scavando un terzo regno che pochi conoscono. Guarda via Padova che sale".
Giorgio Fontana, Babele 56 - Otto fermate nella città che cambia, Terre di Mezzo Editore
Continua la mia rassegna di libri ambientati a Milano per farvi conoscere, e scoprire anche io un po' di più, la metropoli raccontata tra le pagine dei libri, che molto spesso sanno essere ottimi e originali compagni di viaggio, anche dietro casa. E infatti oggi vi porto proprio non lontano dal mio nido.
Via Padova è solo a una manciata di isolati da casa mia e la 56 ( sì, perchè è vero e lo conferma anche Giorgio Fontana nel libro di cui vi parlo oggi, a Milano gli autobus hanno essenza, e articolo femminile!) la incrocio regolarmente tutti i giorni. Perchè Via Padova è anche la strada in cui accompagno ogni giorno mio figlio all'asilo. E' la strada che porta al Parco Trotter, decadente intreccio di edifici scolastici in uso e viali alberati, parco giochi e segni che raccontano un passato glorioso di accoglienza e insegnamento. Ed è sì, "quella" via Padova, che ogni tanto salta agli onori della cronaca e nelle bocche dei passanti come teatro di tafferugli, screzi, piccoli e grandi conflitti. E' la strada forse più multietnica di Milano, ma è anche quella che - forse - sarà il prossimo oggetto del desiderio di creativi, artisti, designer.
A dire il vero, forse lo è già, se ci ha fatto capolino il marketing coniando per lei e per il quartiere un soprannome "newyorchese": NoLo, ovvero: North of Loreto. In effetti, tra alimentari latinoamericani, kebab, negozi orientali di telefonia e qualche insegna tradizionale che sopravvive, hanno cominciato a spuntare i co-working, i mercatini del vintage, le gallerie. Solo che forse sono ancora un po' nascosti. Lo racconta molto bene questo articolo di D di Repubblica.
Solo che oggi siamo nel 2016, e il suo libro, Giorgio Fontana, lo ha scritto nel 2008. Una manciata di anni che possono espandersi e concentrarsi a piacimento quando si tratta di raccontare vite in movimento, come lo sono queste. E non solo perchè viaggiano su un autobus sovraffollato.
Otto fermate per lasciarsi alle spalle il centro e schizzare verso la periferia estrema. La 56, infatti, è la linea che parte dal caotico e grigio Piazzale Loreto e scivola via, lungo tutta via Padova fino a quando le cifre dei numeri civici crescono non poco.
Ma di fatto dal suo sedile sull'autobus 56 Giorgio Fontana racconta vite e storie incontrate anche altrove a Milano. Ostelli, centri sociali, mercati, ristoranti.
Babele 56 è un racconto della città che cambia volto e lingua attraverso le vite di chi, da altri Paesi, l'ha scelta o ci si è ritrovato.
Chi è arrivato da marinaio in Italia, tanto tempo fa. Come il signor Gabriele, col suo negozio di oggetti etiopi in Porta Venezia, il quartiere africano di Milano. Kamal, da una vita giocatore di cricket, qui invece fa il custode di un condominio ma continua la sua passione sui prati di un centro sportivo di periferia e dal suo Paese, lo Sri Lanka, è partito per una tentazione: il piacere di viaggiare.
Kais ha conosciuto l'Italia sulle spiagge di Lampedusa, dopo il viaggio della speranza in gommone dalla Tunisia. Chissà se conosce Karkadan, suo connazionale che nell'altro quartiere ex popolare che ha cambiato volto, l'Isola, in Italia ci è invece arrivato semplicemente in aereo, per poter cantare liberamente il suo rap.
"Guarda, c'è un'espressione cinese che mi dovrebbe definire. Quella è una banana. Io sono una banana. Sì, all'esterno sono cinese. Pelle diversa, occhi a mandorla, capelli lisci. Ma se mi sbucci, dentro, trovi un'occidentale. Capisci? Io mi sento occidentale".
(Liqin, giovane cinese di zona Paolo Sarpi, anche lei tra i protagonisti di Babele 56)
Josè Gonzales, ingegnere meccanico peruviano, è partito da uno stanzino e un computer per diventare editore di Guia Latina, rivista di riferimento sudamericana. Elija fa il manovale ed ha lasciato l'Ucraina nel retro di un furgoncino. Una volta a settimana fa un salto a Cascina Gobba, lo snodo metropolitano a due passi dalla tangenziale, dove va in scena il mercato degli europei dell'Est.
E quando una tigre orientale, quella dell'economia cinese, ha iniziato a ruggire a fatica, a Milano è arrivato anche Huang, che lì faceva l'imprenditore dell'abbigliamento e qui ha una voglia quasi ossessiva di impadronirsi della lingua italiana.
Babele 56 racconta di queste vite a Milano. Una sinfonia di suoni stranieri, ma in realtà un vero filo conduttore non c'è. Perchè si tratta di vite fluide, di chi emerge e di chi rimane sommerso, e chissà se oggi sono ancora le stesse.