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L’accento grottesco è di certo la barriera che separa i due film, se in The House of the Devil la serietà è mortifera e catacombale, in Babysitter Wanted la leggerezza iniziale e la sterzata nella parte conclusiva lo distaccano parecchio da quell’aura di eleganza infernale, mettendolo più al servizio di una logorroica brutalità.Come il titolo suggerisce, Angie accetta una lavoro da babysitter per il piccolo Sam, uno strano ragazzino che veste sempre da cowboy. La confezione è confortevole, la famiglia Stanton pare dolce e premurosa, la paga è buona, e favorevole coincidenza vuole che Angie abbia appena trovato un ragazzo gentile e simpatico. Le cose ovviamente non vanno così bene, a partire dallo stalkeraggio che Angie subisce da inizio film con un taglio massiccio che fa presagire un’ovvia minaccia incombente, per quanto poi la direzione si sposti in maniera stramba e imprevedibile pur mantenendo sempre quella bella esposizione narrativa che è davvero motore portante del film.
La creazione dei personaggi e soprattutto il dialogo con cui li fa interagire Jonas Barnes è un ottimo esempio di semplicità e ricchezza lessicale: la raffinata gestione della religiosità tra Angie e la madre, le scene tra Angie e Rick che mostrano un credibile innamoramento fatto di piccola ironia e quotidiana dolcezza, i segmenti iniziali con la sua coinquilina tossica che fanno spazio a parentesi di stralunata comicità senza che questa esageri i toni sommessi della pellicola, e i colloqui con la famiglia Stanton che mettono a proprio agio per la cordialità mostrata. È vero, questi sono gli stessi strumenti usati da Ti West per The House of the Devil: lì l’atmosfera luciferina veniva evocata proprio per la perfezione con cui i lunghi, meticolosi dialoghi mettevano però a disagio (credo non dimenticherò mai il colloquio tra Samantha e mr. Ulman, un lavoro esemplare di disturbante verbosità), mentre in Babysitter WantedMarnasseri e Barnes si servono di espedienti più classici e meno sottili per far filtrare il perturbante (inquadrature su presenze e osservatori alieni al contesto, una maggior esposizione al soprannaturale e quindi un minor suggerimento dell’orrore) per poi farlo esplodere con una mannaiata piuttosto feroce, ma ciò non toglie che l’esperienza sia comunque riuscita nell’offrire una merce molto simile con modalità differenti.
Il grottesco viene vomitato con il prolisso egoncentrismo di mr. Stanton, il momento esatto in cui il film cambia faccia si avverte anche per questo precisa inversione narrativa, i dialoghi diventano sproloqui nella miglior tradizione slasher/survival, la violenza prorompe con secchiate di sangue, viscere e amputazioni di vario tipo, e il gioco del gatto e del topo assume connotati ben diversi dalla tradizione horror, con un villain insolito e riuscito. A non funzionare è la scelta, forse necessaria per evidenti carenze di budget ma tendo a pensare più che altro voluta per sottolineare e intensificare la vera natura del film, di suoni e rumori in concomitanza delle varie efferatezze che ricordano più la Troma che un prodotto dagli intenti quantomeno seri: pur diretto sempre con gusto educato e sinuoso, la seconda parte di Babysitter Wanted è tutta uno splop, sblurb, sciaf e quant’altro si possa creare distorcendo e ridicolizzando quel suono che si può associare alla carne. Anche lo score è invadente, rimarca con sviolinate e toni alzati di colpo i momenti più tesi e le classiche boo-scenes quando l’ambientazione rurale e il puzzo di zolfo erano da soli più che sufficienti a far salire l’inquietudine. Ma al di là di una ahimè buffa artificiosità dovuta all’inesperienza e agli sprazzi di amatorialità che emergono (la figura del prete), l’energia di Babysitter Wanted è ancora forte e dovrebbe essere d’esempio a molto cinema low-fi dei giorni nostri.
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