Magazine Cultura
In realta', no.
Un post sociologico derivante dal mio piu' recente viaggio lavorativo fra le Altre Culture.
Il mio lavoro mi porta spesso a contatto con colleghi di altri angoli del globo. Superate le porte scorrevoli della redazione del Paese X, c'e' sempre un momento di incertezza paralizzante: Ci baciamo o no?
E' tutto molto complicato e niente affatto scontato, soprattutto perche' all'interno della stessa redazione convivono persone di diversa provenienza e con convinzioni diverse riguardo al contatto fisico cheek to cheek.
A Londra, ad esempio, i colleghi si dividono tra:
- quelli che si alzano e danno due bacetti (ma lo vogliono veramente o e' solo il loro modo di mostrarsi aperti culturalmente ad una che viene dal continente?)
- quelli che girano la testa verso di te e dicono "hi" e sottintendendo guai a te se ti avvicini
- il bacio/abbraccio a circonferenza larga. Alzarsi e fingere di voler assecondare il tren dei due bacetti, ma in realta' girare alla larga dalla faccia dell'altro di almeno mezzo metro, mentre le braccia pendono flosce ai lati. Awkward, direi.
La situazione si complica ulteriormente negli Stati Uniti. Li' il bacio pare proprio out, una pratica disgustosa e poco igienica, ai confini con la molestia sessuale. Me ne sono accorta l'ulltima volta che - lanciandomi spontanea ad abbracciare e baciare un collega che mi pareva tra quelli giusti (ovvero umano e simpatico), questo e' rimasto pietrificato, rigido come un palo.
Al massimo, gli americani concedono un abbraccione. Un hug con un accenno di pacca sulla schiena. Che pero', se a questo punto posso dire la mia, mette a disagio me, che abbraccio solo gli amici intimi e quelli a cui voglio bene.
Altre sfumature poi si riscontrano tra i francofoni.
Ora che sono riuscita nella mission impossible di frequentare, qualche volta, dei belgi, ho capito che il saluto standard qui e' un bacio singolo sulla guancia. A volte tre. Boh. Non so come si declina in ufficio, pero'. Un'amica francese mi ha detto che laggiu' in ufficio ci si bacia con i colleghi ogni mattina. Da un estremo all'altro. Mi pare si possa concludere che a baciare i francofoni non si offende nessuno.
Per gli asiatici non ho capito bene. Ma tutto si sistema una volta che ci si scambia con sollievo il biglietto da visita.
Comunque non sono le differenze a turbarmi. Quello che rende tutto imprevedibile e' il fatto che ognuno e' abituato ad un contesto multiculturale, per cui vuole accomodare l'altro, ma non essendoci un codice comune rimane il dilemma di chi accontenta chi. Un dilemma irrisolvibile che si consuma nello spazio di pochi, cruciali secondi.
Postilla impopolare: viaggiare a me non piace proprio. La parte piu' gratificante di un viaggio per me e' quando lo si annuncia (vado a New York! e nella platea parte un ooooh) o quando si dice "sono stato li'. E' anche un facile riempitivo per le conversazioni small talk.
Ok, penso anche che se non viaggiassi mai e non avessi mai l'opportunita' di spostarmi mi sentirei soffocare.
E ok, ci sono posti che ho visto che erano obiettivamente interessanti.
Ma ecco, non farei del viaggio la mia bandiera, come il 99% delle persone che abitano la Bolla. Soprattutto quando lasci dietro di te una casa sconquassata (e non intendo un appartamento disordinato).
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