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Creato il 10 marzo 2014 da Enricobo2

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Vietnam, risaie (dal web in attesa delle mie...)


Intanto, la prima conclusione, dopo otto ore di sonno secco secco, è che son tornato sano e salvo, che già è una cosa positiva direi, almeno per me. Scaricate le varie cose, mi sono subito accorto che, come al solito, per la testa non è come per lo zaino, che tiri fuori tutto, fai un gran mucchio e (tua moglie) divide le cose sporche da lavare, dal resto da riporre per la prossima volta. Per la testa le cose sono un po' più complicate. Al ritorno è piena zeppa e le cose che ci hai infilato a casaccio, man mano che ti colpivano, le sentivi, le annusavi, le vedevi, si sono accumulate e vanno esaminate con cura, qualcuna sarà da buttare inevitabilmente, ma tutto il resto va catalogato attentamente, per non fare confusione, per far sì che ci si possa trarre soddisfazione, piacere nel ricordo, per arricchire almeno un po' la povertà naturale che ognuno si porta dietro. Ci vuole tempo, così mi scuserete se nei prossimi giorni almeno per tutto un mesetto, non mi occuperò di tutte le cose importantissime che stanno accadendo, del mercoledì epocale che si sta preparando, così poi tutti i vessilliferi del tanto niente va bene, perché nella realtà a pochi interessa cambiare qualcosa, potranno blaterale che la montagna ha partorito il topolino (inciso polemico che non c'entra), ma mi dedicherò a mettere ordine nelle cose che mi sono rimaste, torturandovi con tanto Vietnam. Le ultime sensazioni che ho maturato, mezzo morto mentre il pullman mi riportava a casa da Malpensa, sono quelle derivanti dalla fuga infinita delle risaie del vercellese, chiosa coerente di un grande viaggio tra le risaie, così uguali, così diverse. Le nostre, con quelle camere immense, perfette, squadrate, efficienti, produttive, magnifiche, soprattutto ricche, ma ancora spoglie, grigie e tristi che aspettano la solitaria presenza di un grande trattore a ferirle e a rivoltarle in attesa che altre grandi macchine ripassino, perfezionino il già perfetto, mettano semi a dimora, aspettino come avvoltoi la crescita e la produzione, altri mostri giganti entrino a raccogliere e portare via tutto il portabile, in un meccanismo studiato nei secoli e mai così efficace ed efficiente. 
Terre senza sorriso, grasse ed opime, pur sempre lamentose perché mai niente è abbastanza. Le altre quelle che ho appena lasciato, popolatissime di gente che canta e lavora (donne soprattutto come ovvio) a mollo nel fango, piova o meno, che ride e si tira lazzi. Sono piccole e stentate; seguono le linee delle curve di livello, isoipse disegnate con cura dalla fatica dell'uomo attraverso i secoli,  con una grafica talmente bella ed attraente da lasciare senza fiato, mentre cerchi con la povertà dell'obiettivo fotografico di portare a casa quello che l'occhio abbraccia stupito e mai sazio, girando la testa qua e là. Ridono queste risaie povere, allegre e felici, non della loro miseria, certo, ma di una inconsapevolezza che ancora conosce poco l'invidia per le cose del mondo ricco, quelle che ti mettono dentro il rancore per l'impossibilità di possederle e l'ansia per poterle fare avere almeno ai tuoi figli. Certo che banalità stupida questa della povertà felice, nella maggior parte dei casi consolatoria per il ricco travagliato dall'insoddisfazione o per qualcuno esagerato, dai rimorsi per il meccanismo economico. Sicuramente non è così. Però accidenti, che piacere camminare o girare in bicicletta sugli argini di quelle trine che vestono le colline scoscese, ricoperte di tutti i colori del riso, dal verde pallido degli steli bambini, fino all'oro della spiga reclinata in avanti, ridendo con le persone che ti invitano ad entrare nelle loro case, tra voli di colombacci e di gracidar di ranocchie e che sconforto, a contrasto, scivolare velocemente tra gli immensi quadrati grigi e muti, dove anche gli aironi bianchi e le egrette sono presenze solitarie e misantrope, per rimarcare la serie delle cose che non vanno e dei disastri che stanno sempre per arrivare, del come non si può più andare avanti così, dichiarazioni sempre uguali che ti rilascia qualche viso accigliato, lasciandoti un saluto stanco e svogliato mentre tira su il finestrino della Mercedes.
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