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Back to Djerba (un anno dopo) 1: Questione di centimetri

Creato il 29 agosto 2011 da Fredy73 @FedericaRossi5
Sono sempre stata convinta che non si debba mai tornare in un posto in cui si è stati felici. Ok, magari le mie esperienze dello scorso anno non hanno molto a che fare con la felicità. Certo, però, quelle giornate sono state intense e pienamente vissute (Vedi Le "Cronache di Djerba", post dal 41 al 45 nella sezione Archivio). Così, quando quest’anno sono partita di nuovo per Djerba, in Tunisia (stessa destinazione, ovvero un villaggio turistico per adulti) non avevo grandi aspettative.
In effetti la mia esperienza è stata un po’ diversa da quella dello scorso anno. Ma ugualmente elettrizzante ed emozionante. La partenza ha comportato un viaggio nel viaggio. Sarà per la crisi mondiale o per le rivoluzioni nel Mediterraneo, ma quest’anno non c’erano voli charter. Ed essendo Benevento equi-lontana da tutto, ho dovuto prendere un hotel a Roma sia all’andata che al ritorno. Il volo, con scalo a Tunisi, era di linea. A bordo c’erano solo due sperdute turiste italiane in ambasce per le oltre due ore e mezza di ritardo, troppe per riuscire a prendere la coincidenza per Djerba (e, infatti, l’abbiamo persa). In compenso ho conosciuto questa donna con cui ho condiviso parte della mia vacanza. Non so perché, ma credo di essere un catalizzatore di persone con storie difficili e problemi più che seri. Anche in questo caso, come l’anno scorso per la massaggiatrice, non rivelerò i dettagli della vita di questa donna. Vi basti sapere che i suoi guai sono stati davvero troppi per una vita sola. Forse anche per due. Nonostante ciò, la signora (vista l’età) si rivela simpatica e foriera di battute esilaranti. Come quando mi confessa di non preferire uomini con la pancia, soprattutto per le possibili complicazioni a letto. “Ho già la mia di pancia. Se ci mettiamo pure la sua ci perdo almeno dieci centimetri” afferma con nonchalance di fronte al mio volto inebetito. Anche lei è stata qui lo scorso anno. E anche per lei non sono mancate conquiste e amori. Ma quest’anno ha una specie di fidanzato. O, meglio, un legame con qualcuno che, ad ogni giorno di mancate conquiste, diventa sempre di più il suo fidanzato.
Dal canto mio anche io, quest’anno, sono a Djerba con uno spirito diverso. Non riesco ancora a scrollarmi di dosso il lavoro e il giornale. Mando messaggi inquietanti, in cerca di rassicurazioni, al mio collaboratore (la roccia) e non desidero veramente la compagnia di un uomo. Vorrei solo distendermi al sole e lasciare che il relax sortisca il suo effetto. Ed è cambiato anche il villaggio. Non nella sua scomodissima struttura. Né nell’assenza di pavimentazione e aria condizionata. E’ cambiata la gente. Ci sono pochissimi italiani (per fortuna) a favore di una maggioranza di francesi. Anche l’età si è alzata notevolmente. L’anno scorso ero nel limite massimo di anzianità. Quest’anno abbasso la media dei frequentatori. Almeno per la prima parte della settimana. Si avverte, nell’aria, un’atmosfera meno festosa. Saranno gli strascichi della rivoluzione, ma il turismo, principale attività della Tunisia, sembra aver risentito di questa primavera dei popoli.
Così, non mi meraviglio più di tanto quando la prima sera vado a letto abbastanza presto. Mi illudo che la mia vacanza all’insegna del relax abbia così inizio. Ma quella sarà l’unica notte in cui andrò a dormire a un’ora decente.
La seconda sera, infatti, incontro l’uomo nero.
L’uomo nero è un senegalese che mi faceva la corte anche lo scorso anno. E’ il capo di un’agenzia di viaggi interna al villaggio che organizza tour dell’isola. Lui si ricorda di me e ne approfitta per attaccare bottone. Lo scorso anno non ebbi il tempo di parlarci più di tanto, vista l’elevata concorrenza. Sarà per questo che l’uomo nero, prima ancora che sia completamente ubriaca, mi porta a fare una passeggiata. Ovvero in cerca di un luogo più appartato per baciarmi. Ci ritroviamo, ovviamente, nel mio farè, l’ultimo prima del confine con la Libia (per una strana coincidenza è proprio affianco a quello dello scorso anno). Quando si spoglia mi viene in mente The End, dei Doors… Chissà perché. La sua pelle di ebano è liscia da far invidia a una pubblicità della L’Oreal e profuma di iuta e fragranze naturali. Cerco di non fare del razzismo al contrario, ma devo ammettere che ci resto un po’ male quando il suo primo round finisce nel tempo record di un minuto e 15 secondi. Niente paura. L’uomo nero ha bisogno di ancora meno tempo per riprendere il discorso. E questa volta la cosa si fa complicata. Perché a un certo punto mi chiedo se riuscirò a dormire almeno un paio di ore. Quando ormai ho già contato a mente tutte le capitali europee prima in ordine alfabetico, poi da nord a sud, poi da sud a nord inizio a disperare di uscire da quella situazione. Anche perché l’uomo nero non emette un gemito, un respiro, un rantolo. Né mi aiuta l’impassibile mimica facciale. In un certo senso è come farlo con una statua di cera. Prima che l’inquietudine abbia la meglio, mi accorgo che ha finito. Si stende per un po’ al mio fianco. Insieme sembriamo la pubblicità della Benetton ai bei tempi. O quella dei Ringo. Anche perché quest’anno sono arrivata a Djerba direttamente col mio pallore aristocratico. Restiamo a parlare un po’. Poi mi dice che domani mattina deve alzarsi presto. Una scusa come un’altra per andar via. Lo guardo rivestirsi e mi torna in mente The End “Ride the snake… the snake is long / seven miles…”. Ah, ecco perché!

Continua…Articolo originale di Federica Rossi per Poco sex e niente city. Non è consentito ripubblicare, anche solo in parte, questo articolo senza il consenso dell’autrice.

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