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Back to Djerba (un anno dopo) 1: Questione di centimetri
Back to Djerba (un anno dopo) 2: Domande inquietanti
“Discovering Djerba” è il nome del tour più famoso e abbordabile che qualsiasi agenzia di viaggio del posto propone per scoprire l’isola tunisina. Anche io l’ho fatto lo scorso anno, restando un po’ delusa dal poco “discovering” a vantaggio del tentativo di far comprare ai turisti qualsiasi cosa fosse vendibile e acquistabile. Ma la mia love story col tunisino mi da la possibilità di vedere un’altra Djerba. Un’isola che non conoscevo. Entrando a contatto con le persone del posto che non lavorano nei villaggi turistici occidentali.
E’ nato tutto per caso. Il giorno dopo la mia notte brava col tunisino, infatti, ero già pronta a lasciarmi tutto alle spalle. Sebbene, di tante avventure, questa mi avesse lasciato qualcosa di più. Inspiegabilmente, devo dire, visto che il nostro dialogo non è stato poi così approfondito, complice anche le difficoltà linguistiche. Anisso, infatti, parla l’italiano (non benissimo), il francese, l’arabo e il tedesco. Io comincio a credere che il mio inglese sia davvero inutile, le mie quattro parole in croce di spagnolo assolutamente superflue, e la mia comprensione almeno generica del francese una pia illusione. Eppure a volte non è necessario parlare la stessa lingua per capirsi. Scopro così, che anche per lui quella dell’altra sera non è stata un’avventura come le altre. Anzi. Lui ci tiene a fare le cose per bene. E così finisce che facciamo tutto al contrario. Prima il sesso e poi il corteggiamento e l’appuntamento. Anisso mi invita a uscire con lui. Fuori dalla sicurezza del villaggio turistico.
Un’occasione troppo ghiotta per una giornalista per lasciarsela sfuggire. Accetto volentieri e la sera, verso le 11 e 30, ci accingiamo a giocare al gioco degli sconosciuti. Per lasciare il villaggio, infatti, devo passare attraverso un controllo, lasciare il mio numero di stanza alla security e non farmi vedere in sua compagnia. La cosa ci riesce malissimo, perché lui esce prima di me e il poliziotto mi chiede in un francese stranamente chiarissimo se sto andando a farmi una passeggiata col fotografo. Sfodero il mio sguardo più orgoglioso e fiero, pronta a chiedergli se debba considerarmi una turista o un ostaggio del villaggio. Ma poi penso che le conseguenze potrebbe pagarle Anisso e quindi desisto, sfoderando il mio sorriso più malizioso e complice. Da quella sera divento amica del poliziotto che una sera si offre addirittura di sostituire il mio accompagnatore.
All’uscita prendiamo un taxi e ci troviamo, improvvisamente, coinvolti in un corteo di auto in vena di festeggiamenti. L’autista, al quale Anisso ha detto che sono una giornalista, ci tiene a farmi sapere che si tratta dei profughi della Libia. Stanno festeggiando perché i ribelli sono arrivati a 10 chilometri dal nascondiglio di Gheddafi, mi dice. E, in effetti, mi sembra di essere in una di quelle scene che si vedono al telegiornale, con le persone che sventolano migliaia di bandiere e suonano clacson. Mancano i colpi di fucile in aria, ma non dispero di sentirli presto. Anisso si sporge dal finestrino mentre sorpassiamo una macchina con bandiera della Libia. Urla qualcosa al ragazzino del sedile posteriore. Parte il sorriso, corredato di slogan (credo) e suonata di clacson con l’universale gesto della vittoria. Mi viene in mente la coppa del mondo e mi sento un po’ inappropriata per il paragone.
Arriviamo a un caffè che deve essere molto in voga sull’isola. Come quasi tutti i locali e i paesi del posto, sorge direttamente sulla strada di comunicazione principale, tra auto che sfrecciano e rotonde improbabili da un lato contrapposte alla calma serafica del deserto “petroso” dall’altro. Il caffè si sviluppa a piani. Al primo suonano musica tradizionale tunisina e questa sera c’è pure il karaoke. Mi meraviglia vedere agli stessi tavoli donne tunisine alcune col velo altre in minigonne fantasmagoriche. In Tunisia le donne sono libere di portare o meno il velo, mi spiega Anisso. Anche perché è un paese che vive principalmente di turismo e “contaminazione” qui è la parola d’ordine. D’altra parte il secondo piano del caffè ne è un esempio. Ammetto che ci sono più uomini che donne, ma la musica è decisamente occidentale, con le ultime hit del momento. Ci sediamo tra i tavoli su cui campeggiano narghilè al melone, al cocco e all’anguria e prendiamo un te con mandorle. Mi versa il te nel bicchierino finemente decorato e ci mette dentro due o tre mandorle fresche, spiegandomi come si beve. Riusciamo a parlare un po’ di più della sera precedente e, soprattutto, ci divertiamo molto. Quando si fa l’una, mi porta in discoteca, un locale all’aperto frequentato da turisti e tunisini. Lì incontriamo i suoi amici, tra cui anche quello che lui considera come un fratello.
Ha un master in inglese e questo mi da la possibilità di fargli un sacco di domande e di riuscire a conversare in maniera più approfondita. Ma scherzo e parlo volentieri con tutti i suoi amici. Mi rendo conto che Anisso mi esibisce un po’ come un trofeo. O, meglio, prova piacere a far sapere che io sto con lui (ma sto con lui? Sul serio? Ma va!). Tra una bibita – rigorosamente analcolica – un ballo e una chiacchierata si fanno le 3 e mezza. Anisso, come il protagonista di un film di spionaggio, mi dice di salutare tutti velocemente e di andare via. Più tardi capisco che è per colpa del ramadam. Lui e i suoi amici hanno solo un’altra mezz’ora di tempo per lavarsi, mangiare e bere prima di ricominciare il digiuno che si protrarrà fino alle sette di sera. Ringrazio il suo cugino americano che mi ha dato un provvidenziale passaggio al villaggio e, mentre rientro nel mio farè, mi rendo conto che questa sera non abbiamo fatto sesso. Ci avevo pensato – e sperato – spesso nel corso della serata, fino a quando lui mi ha salutato lasciandomi di stucco. “Domani non ci sono. Ti prego, non andare con altri uomini”. Ripensandoci, ancora adesso, non so se sentirmi offesa o lusingata dalla sua richiesta…
Continua… Articolo originale di Federica Rossi per Poco sex e niente city. Non è consentito ripubblicare, anche solo in parte, questo articolo senza il consenso dell’autrice.
Magazine Diario personale
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