È insindacabile l’idea che i loschi figuri sulla traballante piattaforma rappresentino ben altro che dei pupazzi agghindati con delle palandrane; visto che sono cinque si potrebbero identificare con i cinque continenti, ma più metaforicamente si possono ricondurre all’umanità tout court che vive nel mondo grazie all’equilibrio sociale, una sorta di fratellanza per cui chi fa un passo avanti deve essere seguito da tutti gli altri affinché nessuno rimanga indietro. Come da razionale previsione l’armonia viene troncata dal desiderio di possedere, da quell’egoismo che porta alla bramosia materiale piuttosto che alla condivisione la quale, automaticamente, permetterebbe la sopravvivenza del gruppo.
Lo scenario è dunque piuttosto aperto finanche fecondo per radiografare la società. Un plauso ai fratelli Christoph e Wolfgang Lauenstein va fatto perché imbroccata l’Idea di base il film si srotola da sé, l’estetica così nuda gioca a favore nel processo di immediatezza riguardante i significati simbolici che giungono con estrema rapidità. Volendo però rintracciare il celeberrimo pelo nell’uovo, questa trasparenza allegorica che si rivela direttissima ed incanalata fin da subito, non crea una profondità cognitiva che altresì avrebbe vestito l’opera e che, di conseguenza, avrebbe indotto lo spettatore ad un atto di soddisfacente svestizione. Diciamo che se un limite si vuole scovare, l’esposizione chiara, plateale, evidente, del proposito interno è ciò che mi preme dire.
Però: gagliarda e riepilogativa l’inquadratura finale.