Balbettare.

Creato il 21 ottobre 2014 da Denise D'Angelilli @dueditanelcuore

Ho una stanza che è un buco, ci sono ancora gli scatoloni da aprire sotto il letto, non ho nemmeno le tende alle finestre e i ragazzi che abitano di fronte mi hanno vista nuda, vedranno nudo anche te, mi sembra giusto avvisarti. Certo che potevo vestirmi anche un po’ meglio, potevo darmi una truccata, preparare qualcosa da mangiare, l’ho messo il vino in frigo? Drin, neanche il tempo di pensarci e di spostare la sedia con tutti i vestiti da in mezzo alla stanza che ci sono già le tue mani che arrivano un po’ dappertutto, sembrano tentacoli, ma quante mani hai, io ne vedo solo due. Sul letto singolo c’è un po’ troppo poco spazio per tutti e due, se solo avessi il fisico di Kate Moss sarebbe più facile, penso. Ti ho rincorso così tanto che sono preoccupata, la mia pancia, le mie cosce, i miei piedi, i miei capelli che con una goccia di sudore si imbizzarriscono, la stronza nella stanza a fianco. Penso a dove ho messo le mie benzodiazepine in questo caos infernale, penso che quando mi hai detto ok vengo da te avrei dovuto dirti no guarda ho da fare, scappare sempre. Mi viene tanto da ridere, poi tanto da piangere. Mi metto le dita in bocca e inizio a sfondarmi le unghie, i denti fanno sempre male quando lo faccio, le dita iniziano a sanguinare ma il sapore del sangue quasi mi piace, forse perché ho i canini da vampiro e per quello ti lascio i segni sul collo, sono appuntiti lo so, scusa, farò più attenzione. Smettila, le unghie non te le mangiavi più, hai le mani così belle, dici tu, ma sono nervosa, non lo vedi che tremo, che ho le mani congelate, che non so che dirti. Così inizio a balbettare come quando ero piccola e a scuola mi prendevano tutti in giro. Avevo così tante cose da dire e non ci riuscivo mai, canta mi dicevano e allora cantavo, oppure iniziavo a sca-ndi-re- le pa-ro-le dandomi il ritmo battendo le mani e chiudevo gli occhi per non guardare la faccia di chi avevo davanti. Quando mi passava parlavo velocissimo e nessuno mi capiva comunque, è stato quello il momento in cui ho iniziato a scrivere. Chissà perché te lo sto dicendo, ci metto dieci minuti per dirtelo. ho i-ni-zi-a-to a scri-ve-re e adesso sono qui, inerme, che vorrei dirti tante altre cose ma non ci riesco. Mi guardi con la faccia della pietà, si vede che non capisci cosa stia succedendo e ti prego non mi toccare, vai via, mi passa presto, per favore esci da quella porta perché non voglio che tu mi veda così, voglio che tu abbia un bel ricordo di me, quando domattina ti sveglierai e non vorrai più vedermi. Racconterai in giro che sono pazza, come faccio a dirti che devi fare finta di non essere mai stato qui, fai fin-ta di non e-sse-re mai sta-to qui e batto le mani. Quando mi incontrerai nei locali salutami da lontano. Faccio ciao con la manina, indico la porta della camera, c’è del sangue sul mio dito indice. Tu fai l’esatto contrario, ti avvicini e io mi arrotolo nell’angolo del letto vicino al muro e non ho più scampo, mi alzerei ma sono immobilizzata, così mi uccidi ti prego vai via, immagino la mia faccia da cane bastonato e i miei occhi lucidi e tu con una mano mi afferri e mi stringi, ti ho detto che mi fai male così, tu stringi ancora più forte, così forte che mi manca il respiro, così forte che il mio cuore, lentamente, finalmente, rallenta. Respiro profondamente, tutto questo contatto fisico mi disarma, non mi piace, mi rende debole, provo a parlare e non balbetto più. Prendo l’indice e il medio della mano destra, li unisco e li poggio sulla parte destra del collo, sei secondi, sette pulsazioni, vuol dire settanta pulsazioni al minuto, questo trucchetto lo conosco da quando nuotavo, quando dopo ogni cento metri veloci ce le facevano contare per capire se potevamo sostenerne altri. È da quei tempi che il mio cuore fa come vuole, che a volte accelera senza un motivo preciso, si chiama tachicardia ed è così che volevo chiamare il mio blog, perché è questo quello che sono, ti fa schifo, lo so. Quel nome lo hanno già usato per  un blog che mi piace anche parecchio, ti dico. Fai spallucce, che cazzo te ne frega a te in effetti. Pare che sia passata, fai quello che vuoi di me stasera, te lo devo. Vai di là a prendere del vino bianco, un tempo bevevo solo il rosso poi ho scoperto che le bollicine frizzantine sulla lingua mi fanno stare bene, quando arrivano nello stomaco vuoto lui borbotta e mi fa sorridere, prendi anche del parmigiano, è nel frigo, no non mi vergogno di mangiare di fronte a te. Perché resti qui? Ti faccio pena? Guarda che davvero passa presto, lo vedi che già non tremo più, guardo un film di Woody Allen, mando qualche nota su whatsapp. Non me ne vado, sto qui, dici tu, se ci stringiamo c’è posto per tutti e due. Chi lo avrebbe mai pensato che mi sarebbe servito un letto matrimoniale. Chi lo avrebbe mai pensato che avrei accettato di essere abbracciata così a lungo. Ottanta pulsazioni, ancora nella norma, va tutto bene.



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