La trama (con parole mie): Javier non è mai stato un bambino. Almeno non come lo si potrebbe intendere nell'immaginario comune. Suo padre, un clown da risata finito a combattere il regime nel 1937, nel pieno dell'ascesa di Franco, ha lasciato sulle sue spalle l'eredità del mestiere con l'avvertimento per il ragazzo di non intraprendere la sua stessa carriera, concentrandosi invece sul ruolo di maschera triste, maggiormente adatta alla storia personale del giovane.Nel 1973, nel pieno del viale del tramonto dello stesso Franco, Javier trova lavoro proprio come clown triste in un circo scombinato e sempre ad un passo dal fallimento: qui conosce Natalia, bellissima acrobata legata sentimentalmente a Sergio, pagliaccio da risata che adora i bambini ed è incline ad alcool e violenza, spesso dirottata proprio sulla donna.Tra quest'ultima e Javier nasce un sentimento di complicità, che porterà inesorabilmente alla rovina non soltanto il circo, ma tutti i suoi componenti, in un crescendo di caos generato dall'amore e dall'odio.
Onestamente, avrei davvero voglia di prendere a sonore bottigliate quel disgraziato di Alex De La Iglesia: lo strambo ed incostante regista iberico, autore di pellicole decisamente fuori dagli schemi come Perdita Durango, torna alla ribalta con quella che sarebbe potuta diventare la sua opera più importante, potente e complessa, costruita interamente sulle spalle cadenti ed il viso martoriato di Javier, clown triste che pare non avere una sola possibilità rispetto all'avere una vita almeno vagamente appagante e felice.Una sorta di Tim Burton mandato in elettroshock da Tarantino, per intenderci.E invece che cosa mi combina, quel disperato? Nel corso della prima metà del film tesse i fili per un lavoro profondo e struggente sull'amore che possa essere un parallelo con il dramma che la Spagna visse dalla Guerra Civile alla fine della dittatura franchista - un pò quello che fece Almodovar nel meraviglioso Carne tremula -, definendo i personaggi alla grande ed inserendoli in una cornice curatissima, dark e splatter, romantica e struggente, magica ed estremamente terrena avvalendosi di due appoggi per il protagonista di assoluto rispetto, charachters tridimensionali e traboccanti passione e sesso come Sergio e Natalia.Poi, preso da un non so quale tipo di fervore dalle venature praticamente action, trasforma quella che era una sorta di poesia scritta con il sangue in un vero e proprio circo di morte, esplosioni, scelte decisamente appariscenti - le deturpazioni che subiscono sia Javier che Sergio - ed un progressivo abbandono della parte più legata ai sentimenti che finisce per impoverire l'intero lavoro dando l'impressione che, una volta disposti i pezzi sulla schacchiera, De La Iglesia si sia ritrovato con l'impressione di non sapere più come utilizzarli.Certo, la qualità resta alta ed alcuni passaggi assolutamente grotteschi - la parentesi di Javier alle "dipendenze" dei franchisti pare quasi uscita da Bunuel - lasciano piacevolmente sorpresi, eppure la decisione di abbandonare repentinamente la vena "alta" della storia per concentrarsi sulla componente pulp, molto pulp e pure troppo questa volta non ripaga l'autore, che rischia fino all'ultimo - e si salva davvero per poco - di incorrere nelle ire del sottoscritto, per di più costretto alla visione in un letto d'ospedale a seguito del recente intervento alle tonsille.Un vero peccato, perchè se sviluppata meglio, questa ballata - e in effetti, lo spirito della prima metà pare proprio quello - avrebbe potuto definire uno standard nuovo - e senza dubbio alto - per la parte più aggressiva del Cinema spagnolo, che comincia a sentire la mancanza di qualcuno in grado di assestare colpi bassi e cattivi: resta comunque una visione discreta, curata benissimo dal punto di vista tecnico - splendida la fotografia, perfetto il cast, dalla metamorfosi di Javier alla bellezza mozzafiato di Natalia, resa praticamente irresistibile - e sicuramente spettacolare da molti punti di vista, viziata però inesorabilmente dall'incapacità di imbrigliarla del suo stesso regista.Oltre a lui merita una sonora vagonata di calci rotanti anche la distribuzione italiana, che porta in sala questo titolo con un ritardo colpevolissimo, e ribadisce per l'ennesima volta la situazione assolutamente scandalosa in cui versa il mercato cinematografico - oltre che alla qualità delle proposte made in Terra dei cachi - del Nostro Paese: arrivati a questo punto non dovremmo neppure scandalizzarci troppo, ma non riesco proprio a trattenermi quando si reiterano allo sfinimento - del pubblico - episodi di questo genere.Tornando a De La Iglesia e al film, mi sento in ogni caso e nonostante la mia parziale delusione di consigliarne la visione, che risulterà intensa e violenta - non solo in senso fisico - praticamente per ogni tipologia di audience, mettendo sul piatto due argomenti fortissimi come l'Amore - e qui si gioca quasi sempre sul sicuro - e la Storia - considerato che il dramma della Guerra Civile spagnola è spesso sottovalutato dalle nostre parti, intenti a concentrarci sul secondo conflitto mondiale -: armatevi dunque di una certa disposizione d'animo alla sofferenza e alla tristezza - del resto il titolo originale, Balada triste de trompeta, dice tutto -, al sangue e alle lacrime, al sesso e alla morte, e buttatevi a capofitto.Può anche essere che, non conoscendo Iglesia o non confidando troppo, questa ballata possa ipnotizzarvi più di quanto sia riuscita a fare con il sottoscritto.
MrFord
"Con tanto llanto de trompeta
mi corazón desesperado
mas yo ando recordando
mi pasado
aaah aaah aaah… aay
aaah aaah aaah… aay."Raphael - "Balada de la trompeta" -