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Balle

Creato il 15 maggio 2011 da Renzomazzetti
affetti.

affetti.

Una cosa che non sono riuscito a capire ancora è la faccenda del tenore di vita. C’è evidentemente qualcosa che sfugge alla mia comprensione, oppure gli italiani dicono un sacco di balle. Bisognerà che studi a fondo la questione per non fare brutta figura con il mio direttore e con i lettori. Io dico che quando il tenore di vita diminuisce, aumentano i bisogni, e questo è un fatto. Ma qui le cose vanno al contrario. Più questi dicono che il tenore di vita diminuisce, più diminuiscono i bisogni. Parlava giorni fa con un negoziante del centro, uno che vende tessuti per abbigliamento. Vede che roba? Mi diceva desolato indicando il magazzino vuoto di clienti, nessuno compra più un metro di stoffa, col tenore di vita così ridotto! Che razza di faccenda sarà questa. Allora vuol dire che tutti sono talmente pieni di vestiti, che non hanno bisogno di comprare più niente. Del resto ho paura che si tratti proprio di bugie perché anche la chiusura di decine e decine di fabbriche dimostra che in generale sono tutti ben provvisti di tutto, che la produzione resta in magazzino e nessuno compra più nulla. Ero a Roma, giorni fa, dove tutti si lamentano per la crisi degli alloggi, per la faccenda dei senza tetto e così via. Altro che senza tetto! Ho visto proprio ieri una famiglia di poverissima gente che andavano a dormire, padre, madre e sei figli, nientemeno che al Colosseo. Quale dei nostri poveri miliardari, in America, potrebbe permettersi un lusso simile? Una lunga faccenda, quella del Piano del Lavoro presentato in Italia dai sovversivi. Prese le mie precauzioni sono riuscito a parlare con un’organizzazione clandestina. (Pensate alla furberia di questa gente. Per nascondersi meglio si mettono nei punti più in vista delle città; nella fattispecie, sulla porta c’era scritto <Camera del Lavoro>. A nessuno sarebbe mai saltato in mente che proprio su una vera Camera del Lavoro i sovversivi avessero scritto <Camera del Lavoro>. Una specie della <lettera smarrita> del Poe o della <innocenza di Padre Brown> di Chesterton). Bene, dopo tanto cercare ho parlato con il <capo>. Era mascherato, naturalmente (benché lui si sia scusato dicendo che aveva la testa fasciata per una randellata della polizia. Impossibile: per far meno male la polizia usa dei finti randelli, fasciati di morbida gomma; lo sanno tutti); gli ho chiesto qualche notizia sui piani segreti e lui mi ha parlato per un’ora del Piano del Lavoro. Ne avevo le scatole piene, ma per precauzione ho finto di seguirlo fino alla fine. Dunque, il piano è tutta una stupidata, un raccontino da ragazzi. Non si capisce come questa gente, così feroce, così selvaggia, si appassioni tanto ai raccontini per ragazzi. Figuratevi che si tratta di un cane che si morde la coda! Roba da giornale dei piccoli. Diceva il sovversivo: <E’ certo che non si tratta più ormai di depressione economica. Si tratta di vera e propria crisi. Il fatto è che in tutti i campi c’è crisi di sottoconsumo. Pensi gli italiani consumano mezzo paio di scarpe a testa. La disoccupazione, le sospensioni, i guadagni troppo bassi impediscono alla popolazione di comprare l’indispensabile. Allora la roba resta invenduta nei negozi. I negozi non fanno più ordinazioni ai grossisti che si trovano i magazzini pieni. Il grossista cessa di fare ordinazioni alla fabbrica che è costretta a diminuire la produzione, a sospendere e a licenziare e, nei casi più gravi, a chiudere le fabbriche. Invece, col Piano del Lavoro, (è sempre il sovversivo che parla) si darebbe lavoro a tutti i disoccupati, che guadagnerebbero, comprerebbero quello di cui hanno bisogno, farebbero rialzare i commerci, rinvigorirebbero il mercato interno, le fabbriche ricomincerebbero a lavorare, ci sarebbe nuova occupazione… Ho verificato la faccenda delle scarpe. Sapevo che era una delle solite bugie dei sovversivi, ma ho voluto ugualmente, per onestà, accertarmene. Non un italiano, dico uno, gira con una sola scarpa (a meno che non sia zoppo). Tutti, dico tutti, hanno ai piedi due scarpe. Oppure vanno completamente scalzi. Ma con una scarpa neanche uno. ( Frammento tratto da un americano in Italia, diario smarrito di un giornalista distratto, di Berto Del Bianco, almanacco, 1952).

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NO ALLA GUERRA

Non s’è finito di piangere i nostri morti

sotto la terra trafitta,

che ancora

la carne si va staccando dagli scheletri.

I figli degli operai,

che stentano la vita in officina,

hanno ginocchi nudi

e nodosi come ingranaggi.

E per i mutilati

mancano persino gli apparecchi

di protesi, gli ebrei sono ancora ebrei,

i negri, i negri: le loro canzoni

lamenti, e voi,

voi preparate una nuova guerra.

Voi non avete fame,

siete sazi

solo avete bisogno di maggiore potenza

per continuare a vivere.

Avete bisogno del sangue freddo

della morte

per risolvere i vostri affari

e allargare il vostro potere

sopra un arido mondo di sabbia e di schiavi.

Voi sapete che i fiori,

dovunque, sono per chi lavora,

sapete che lo spazio,

i colori del cielo e dei campi

sono per loro.

Voi lo sapete: è per loro

che ogni giorno si leva il sole.

E sapete che nulla ormai

v’è per voi sulla terra.

Così volete la guerra

per chi ama la vita,

per chi vuol fare con la terra

la festa del lavoro.

Bauxite, volframio, tungsteno

per la guerra.

Aerei, camion, carri armati, arruolamenti

per la guerra.

Trasformazione delle officine

per la produzione di guerra.

Piano d’impiego di tutta l’industria

per la guerra.

Reclutamento d’ ingegneri e di chimici

per la guerra.

Partite di materie prime,

velocità supersonica,

utilizzazione della stratosfera,

operazioni in clima freddo

per la guerra.

Proiettili radiocomandati,

energia dell’atomo

per la guerra.

Febbri, peste, cancrena

per la guerra.

Giornali e radio

per la guerra.

Le gambe delle donne

per la guerra.

Le chiese per la guerra.

Voi non sapete più cosa fare.

Voi evocate l’abisso,

credete che dalla sua profondità

salirà per voi

una rosa smagliante al di sopra dei pericoli,

e per gli altri un uragano

che li travolgerà cadaveri bianchi.

E tutto ciò lo fate sotto gli occhi

dei popoli che avanzano

verso la loro felicità.

-Eugène Guillevic-

 


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