Leggo l’articolo di Maria Novella De Luca:
Daniela Del Boca e Silvia Pasqua, docenti di Economia Politica all´università di Torino, hanno messo a confronto diverse fonti statistiche, ma in particolare i risultati degli ultimi test Invalsi (ossia sul livello di preparazione) per la seconda e la quinta elementare nell´anno 2009/10, ciò che emerge in modo netto è la maggiore preparazione sia in italiano che in matematica dei bambini che nella prima infanzia avevano frequentato un asilo nido.
Dati sorprendenti e nuovi per il nostro paese, dove da una parte c´è una grande carenza di asili nido pubblici, ma dove persiste anche una forte diffidenza all´idea di “far uscire da casa” i propri piccoli almeno fino ai tre anni di vita. Una recente ricerca della Banca d´Italia dimostra infatti che il 58% dei genitori italiani ritiene che nella prima fase della vita «è meglio i bimbi restino con le mamme». E molti psicologi e psicoterapeuti condividono questa posizione, mettendo in guardia dal senso di “sradicamento e di abbandono” che può nascere in bebè affidati a sette, otto mesi a cure esterne alla famiglia. Eppure in tutto il mondo, spiega Daniela Del Boca, «le ricerche sul childcare, cioè i servizi per l´infanzia, sono in atto da tempo, sempre di più si capisce quanto sia importante l´investimMaria ento educativo nei primi anni di vita, come ha dimostrato il premio Nobel per l´economia James Hackman, che ha evidenziato quanto i benefici dell´investimento in capitale umano diminuiscano con il crescere dell´età».
Insomma l´asilo nido come primo luogo dell´apprendimento. Vera alternativa a quello che finora è stato l´unico tipo di childcare nel nostro paese, e cioè i nonni, nove milioni in Italia, di cui 8 milioni occupati a tempo pieno nell´accudimento dei nipoti. La ricerca, dal titolo “Esiti scolastici e comportamentali, famiglia e servizi per l´infanzia”, condotta anche in collaborazione con la New York University e il Collegio “Carlo Alberto” di Torino, ribalta insomma il punto di osservazione, il nido cioè come luogo fondamentale per i bambini, oltre che salvagente per le famiglie. Entrando nel dettaglio, i test Invalsi dimostrano che gli alunni che hanno frequentato il nido hanno punteggi più alti di un punto e mezzo in italiano e di mezzo punto in matematica, percentuale che cresce per i bambini che vengono da famiglie immigrate e ancor più se la mamma lavora. «Sembra un paradosso ma è così – chiarisce Daniela Del Boca – perché se da un lato l´assenza della madre è un fattore negativo sul rendimento scolastico dei figli, questo viene compensato dalla frequentazione di un buon nido. In Italia abbiamo esperienze straordinarie, a cominciare da Reggio Emilia, e infatti le liste d´attesa sono più lunghe proprio là dove c´è una tradizione di qualità». La materia però è delicata. «Se il nido non è eccellente – dice infatti con decisione Maria Rita Parsi, psicoterapeuta di lunga esperienza – allora è meglio che i bimbi restino a casa. Se invece l´asilo, per fare un esempio che conosco, è come quello della Ferrero ad Alba, con un équipe psicopedagogica di alto livello, dove i genitori possono entrare e uscire quando vogliono, allora i vantaggi sono enormi. Purtroppo però i nidi sono spesso scadenti. E per un bimbo di pochi mesi ogni distacco è un trauma, e ogni suo piccolo grido deve essere ascoltato. Tutto questo può avvenire in un nido?».
Il dibattito è aperto.
Io ho diversi dubbi, per lo meno sull’età in cui i bambini andrebbero portati…Voi che ne pensate?