Lewis Hine è uno dei miei idoli.
Nei primi anni del Novecento, mentre la fotografia intraprendeva strade decisamente pittoriche, quasi che lenti e diaframmi dovessero imitare tele e pennelli, Hine seppe interpretare al meglio quello che gli apparve come uno straordinario mezzo documentativo, dando vita ad un genere che ancora oggi impegna migliaia di professionisti: il reportage sociale.
Concependola come strumento per la promozione di riforme sociali, Hine diede una svolta alla storia della fotografia. Entrando nelle fabbriche per ritrarre il lavoro minorile, ne tratteggiò la bruttura morale, con una buona dose di coraggio ed una altrettanto abbondante di astuzia: ai padroni degli impianti si presentava come venditore di assicurazioni, sostenendo che la presenza dei bambini nelle inquadrature fosse necessaria per dare una idea delle dimensioni dei macchinari che, privi di elementi di altezza riconoscibile, non avrebbero potuto mostrare il loro ingombro effettivo…
In realtà, Hine era al lavoro in quanto membro della National Child Labor Committee, e le immagini che scattò furono di tale impatto e di tale drammaticità da stimolare e favorire l’inizio di un processo di riforma sociale che si concluse con una normativa per l’abolizione del lavoro minorile negli Stati Uniti d’America.
La sua attività di moderno fotoreporter si spostò quindi nei cantieri di una America in forte espansione, tanto che per lunghi anni gli venne attribuita la paternità di una delle fotografie più famosa di tutti i tempi: una fila di operai seduti sopra su una trave d’acciaio sospesa sopra New York. Una immagine che conoscete tutti e che ha a sua volte una storia interessante alle spalle: la affronteremo a breve!
Ma oggi, raccontiamo di questa:
Avrete capito i motivi per la mia passione verso Hine. Ho sostenuto più volte che una fotografia debba raccontare una storia, e gli occhi di Addie Card, operaia dodicenne in una fabbrica del Vermont, raccontano di una famiglia con poche entrate, di una giovinezza rubata, di ore passate forse a immaginare di partecipare ad un enorme gioco mentre la schiena si piega e le mani si ricoprono di tagli. Abbiamo avuto tutti 12 anni, e conosciamo dodicenni, li incrociamo tutti i giorni in metrò o nelle case di amici: provare anche solo per un istante ad immaginarli in una catena di montaggio ha del grottesco e del tragico insieme, e fa commuovere.
Eppure, e quel che segue sarà sicuramente di sollievo, Addie ha avuto una vita felice. Joseph H. Manning l’ha ricostruita sul suo sito web, dopo una ricerca di familiari e discendenti, con una attenzione ed un culto della memoria che dimostra come quella immagine abbia colpito tante sensibilità.
Dopo una vita intensa e ricolma di affetto, una di quelle esistenze che dimostra come la speranza sia dietro l’angolo per tutti, nonostante una partenza difficile, Addie è scomparsa nel 1993, a 96 anni. E ci ha lasciato un’ultima immagine toccante, in un cerchio perfetto come quelli tracciati da Giotto secondo la leggenda.