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“Bamboccioni”…più i figli o i genitori?

Da Psytornello @psytornello

Oggi vorrei condividere con voi un caso che ho trattato in studio qualche tempo fa e che può indurci a riflettere sulla responsabilità che come genitori abbiamo nel fare in modo che i nostri figli diventino persone autonome e indipendenti.

Laura ha 35 anni e arriva da me in seguito ad un appuntamento che la madre ha preso per lei. Mi dice subito che non “crede” agli psicologi ma che la madre ha insistito tanto perché lei venisse a “farsi vedere da qualcuno”. Sono immediatamente colpita dal suo aspetto da adolescente (sia nell’acconciatura che nell’abbigliamento) assolutamente non coerente con la sua età. Si lamenta del rapporto conflittuale con i suoi genitori, ma in particolar modo con la madre. Sostiene che le stiano addosso, la controllino e non la lascino libera di decidere della sua vita.

Laura non lavora. Lo ha fatto per qualche anno in passato ma poi ha lasciato tutto per raggiungere il suo grande amore che abitava a Madrid. Solo dopo aver scoperto che lui la tradiva è tornata in Italia ma è rimasta senza occupazione. Con voce rassegnata si limita a dire: “Il lavoro non si trova, ma se arriverà sono pronta a ricominciare“. Ad un’indagine un po’ più attenta appare chiaro che la ricerca di un’occupazione viene intrapresa con scarsa determinazione, come se fosse più facile rimanere in attesa degli eventi.
Laura spende le sue giornate come volontaria in un canile: dice che solo lì si sente serena e a suo agio. Le serate trascorrono in compagnia degli amici che spesso la ospitano anche a dormire. Rientra a casa sporadicamente lamentando di essere accolta dai suoi genitori in modo brusco, cosa che la spinge ancor di più a sbattere la porta di casa e andarsene. Laura ha un fratello maggiore, Massimo, ma anche con lui non ha un buon rapporto. Per di più, è convinta che la madre lo preferisca a lei perché è sposato, con un buon lavoro e dei bambini.

Decido di incontrare la signora Marcella, mamma di Laura, per cercare di avere un quadro più dettagliato della situazione.
Giunge da me chiedendomi se si possa fare qualcosa per questa figlia che la fa tanto disperare. Mi colpisce che ne parli come di un giocattolo rotto che qualche “esperto” deve tentare di riparare. Non si spiega come una ragazza a 35 anni non si sia ancora “sistemata” e non abbia voglia di avere la propria indipendenza e cercarsi un lavoro. Si lamenta di vederla pochissimo e di essere in pena per lei perché si chiede cosa faccia tutto questo tempo fuori casa. Tra le lacrime, la descrive poi come una ragazza particolarmente fragile e bisognosa di supporto. Mi racconta che da piccola, a causa di una malattia, è rimasta per molto tempo in ospedale e per questo è stata da lei particolarmente coccolata.

Le “coccole” continuano anche adesso, attraverso i soldi dati a Laura affinché possa uscire con gli amici e non “sfigurare” con loro, possa avere abiti firmati e concedersi anche qualche bel viaggetto in estate. Marcella sopporta pazientemente che la figlia entri ed esca da casa a suo piacimento, che si chiuda in “cameretta” con le cuffie dell’Ipod alle orecchie disertando le incombenze domestiche o che dorma fino a mezzogiorno lamentandosi che qualcuno possa disturbare il suo sonno…e la domanda continua ad essere: “Ma perché non si trova un lavoro e si sistema?“.

Mi viene spontaneo chiedere alla signora: “Ma perché mai Laura dovrebbe trovarsi un lavoro?“. Marcella spalanca gli occhi. Proseguo: “Laura ha chi le paga vitto e alloggio, non ha regole da rispettare, ha anche i soldi per concedersi ogni tipo di svago…ma perché mai dovrebbe fare la fatica di cercare un lavoro e sobbarcarsi oneri e responsabilità?“.
Sono stata provocatoria per fare in modo che questa mamma capisse che non si può trattare una figlia di 35 anni come un’adolescente e aspettarsi che si comporti come un’adulta. E’ una contraddizione in termini.

Il lavoro più difficile da fare non è quindi con Laura, ma con la madre (e il padre) affinché accetti di “svezzare” la sua bambina e si renda conto che non è affatto fragile come la descrive ma che, al contrario, tiene in pugno tutta la famiglia (che si mobilita per lei) come una despota. Ciò che si sta tentando di fare con la signora Marcella è permetterle di riprendere il controllo della sua vita e della sua casa e mettere Laura dinanzi alle sue responsabilità di donna oramai adulta. La si sta portando anche a confrontare il suo modello educativo con quello dei propri genitori che lei ricorda come “molto severi” ma che allo stesso tempo ringrazia per averle permesso di cavarsela presto e bene da sola. Le ho chiesto dunque se dell’educazione ricevuta fosse tutto da buttare o se si potesse prendere in prestito qualcosa. Marcella si è resa conto che deve cambiare il suo atteggiamento se vuol permettere a Laura di sentire il desiderio sano di “spiccare il volo dal nido”.

Ho condiviso con voi questa storia per sottolineare il fatto che non esistono “figli problematici” ma relazioni problematiche ed è necessario che i genitori abbiano la forza di mettersi in gioco, di riconoscere che può esserci qualcosa di disfunzionale che va corretto e soprattutto che non è possibile contare su interventi magici esterni in grado di “aggiustare i figli rotti”.


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