Il rapporto commissionato dalla Banca Mondiale per il futuro del nostro pianeta parla chiaro: la certezza dell’aumento di una temperatura media globale di 4°C è ormai un problema più che concreto. I limitati margini di manovra ci impongono un accordo internazionale già a Doha.
UNA SCOMODA VERITA’ – Qualcuno si pentirà di aver rimandato il problema, altri di non averlo nemmeno preso in considerazione. Quel che conta è la necessità di limitare i danni nel minor tempo possibile. Il report della Banca Mondiale Turn down the heat: why a 4°C warmer world must be avoided non lascia spazio a diverse interpretazioni. Se non prenderemomisure efficaci più che rapidamente, «i nostri figli erediteranno un mondo completamente diverso da quello in cui viviamo oggi; i cambiamenti climatici rappresentano una delle più grandi sfide per lo sviluppo, e ci dobbiamo assumere la responsabilità morale di agire per conto delle generazioni future, specialmente per quelle più povere».
Il report commissionato dall’organizzazione internazionale al Potsdam Institute for Climate Impact Research ha preso in esame le conseguenze drammatiche che coinvolgerebbero l’ambiente da qui ai prossimi 50 anni, se non venisse ridimensionata l’emissione di CO2 da parte dell’uomo: siccità, ondate di calore, aumento del livello del mare da 0,5 a 1 metri, diminuzione degli stock mondiali di cibo, perdita di biodiversità e peggioramento della salute dell’uomo.
Le prime regioni a subire questa crisi climatica sarebbero Europa e Usa, ma il dramma alimentare ovviamente interesserebbe in primis regioni più povere come l’Africa, dove un aumento della temperatura di 4 gradi renderebbe inutilizzabile per l’agricoltura oltre il 35% del territorio.
IL FALLIMENTO DEL MODELLO KYOTO – La visione di un mondo più caldo di 4 gradi dovrebbe scuoterci verso l’azione. Sono le parole usate dal presidente della Banca Mondiale, Jim Yong Kim, eppure questa prospettiva non è di certo nuova. Da oltre 10 anni siamo a conoscenza dei rischi connessi allo sfruttamento del sottile equilibrio ambientale, e troppo poco è stato fatto.
Gli accordi raggiunti a Kyoto non sono serviti ad altro se non a far scrivere le testate giornalistiche internazionali di quanto sia fondamentale trovare un accordo sul clima. Tutto poi è stato disatteso, basti pensare allacompravendita dei diritti all’emissione di CO2. Oggi i dettami di Kyoto, con le sue vane ambizioni, sono scaduti e nessuno si è degnato di porre in evidenza l’appuntamento di Rio de Janeiro tenutosi lo scorso Giugno, il quale, non essendo stato oggetto di un approfondimento mediatico, si è rivelato inutile e totalmente insufficiente per rimediare ad una crisi ambientale che è già in essere.
La promessa di mantenere il riscaldamento globale entro i 2 gradi, presa dagli stati che fanno parte dell’Unfccc (United Nations Framework Convention on Climate Change), sembra ormai irraggiungibile e questo comporterà eventi estremi sempre più frequenti. Purtroppo, è tardi per individuare nel semplice riciclo o nell’uso della bicicletta un rimedio alla crisi ambientale. Tutto questo è auspicabile, ma non sufficiente ad invertire una rotta intrapresa da decenni. Ad oggi la parola d’ordine è “riconversione”: quella dei sistemi produttivi, principali terroristi climatici abilmente celatisi dietro al velo della compravendita dei diritti all’emissione di CO2. E, perraggiungere questo obiettivo, si rende necessaria la transizione verso un nuovo modello economico.
APPUNTAMENTO A DOHA – Da lunedì 26 Novembre al 7 Dicembre, si terrà a Doha in Qatar una conferenza sui cambiamenti climatici alla quale, si spera, prenderanno parte numerosi leader internazionali. Si sa, le convenzioni “quadro” non sono mai state utili al perseguimento degli obiettivi cui erano destinate, eppure, alla luce di quest’ultimo report, la speranza è che si intraprenda una strada più decisa e che per una volta la priorità venga data alla tutela dell’ambiente piuttosto che alla produttività dei singoli stati.
Un grande sforzo verrà richiesto a India, Cina e tutti i Paesi in via di sviluppo, non soltanto da un punto di vista pratico, ma relativo anche ad un impegno per la sensibilizzazione della popolazione mondiale. Che l’appello per il clima venga addirittura dalla Banca Mondiale, e non da un’organizzazione dedita alla tutela ambientale, rende il tutto ancora più preoccupante e realistico. Si abbandonino per un attimo il mantra della “crescita infinita” e la messa in ordine dei bilanci, per far spazio alla crescente crisi ambientale che non fa sconti a nessun paese, ricco, povero, emergente o meno che sia. E’ sempre più evidente come questa sia una questione di diritti su scala globale e come la Green Economy non sia la soluzione, ma solo un banale ripiego. Infatti, dare una pennellata “verde” al sistema di produzione e consumo vigente non può essere sufficiente.
di Andrea Salati - http://dailystorm.it