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Dopo UT e PFM, per il terzo giorno di fila Genova presenta il suo volto prog, e nell’occasione utilizza uno scenario da favola, Villa Serra, dotata di un parco molto suggestivo che ha dato spazio alla storia del rock italiano attraverso le esibizioni di BANCO e ORME, nell’ambito del “Goa Boa Festival”. Sono passati molti anni dagli esordi e le due formazioni continuano a regalare momenti significativi e non pare accusino stanchezza. Entrambe differenti rispetto alle origini, presentano linee guida simili alla maggior parte dei gruppi storici ancora in attività, vale a dire uno zoccolo duro unito a nuova linfa che, anagraficamente e ideologicamente, reca i segni del rinnovo e della “rivisitazione moderna”. Villa Serra è un luogo molto decentrato e ci si va solo con l’obiettivo di partecipare ad un evento ben preciso, ma i nomi in gioco erano di grande peso, e i posti a sedere non sono bastati per contenere il pubblico presente. Un piccolo aneddoto iniziale appare come significativo e rappresentativo di quanto certe musica sia ormai immortale e attecchisca anche con le ultime generazioni. Il merchandising del BANCO è gestito dal mio amico Aldo Pancotti, alias Wazza Kanazza. Un’ora prima del concerto, tra i tanti ricercatori di novità, c’erano due giovanissimi che, volendo acquistare un cimelio/ricordo, hanno iniziato un controllo approfondito delle proprie tasche, alla ricerca delle monete utili per arrivare all’obiettivo finale. Ma nonostante l’impegno, il fondo del barile era già stato raschiato e qualcosa mancava. Si può negare una piccola soddisfazione a giovani così appassionati? Ovviamente no, hanno avuto ciò che desideravano.
Iniziano le ORME, con un po’ di ritardo dovuto a problemi tecnici. Come noto la band è molto diversa da quella nata a fine anni ’60 e di quella formazione l’unico testimone è un certo Michi Dei Rossi, di professione drummer. Accanto a lui Michele Bon, tastierista che avevo già visto in altre occasioni e con altra formazione. Alla voce Jimmy Spitaleri, con William Dotto alla chitarra. Completa la sezione ritmica il bassista Fabio Trentini Il set iniziale non è stato lunghissimo, ma ci sarà spazio alla fine per un abbondante “incontro on stage” con Nocenzi e soci, che ha rappresentato un momento davvero godibile e inusuale, che ho cercato di condensare nel filmato di fine post. Le formazioni cambiano, gli uomini - tutti - si modificano, ma ciò che l’appassionato di musica cerca in queste occasioni è il feeling da concerto, e per chi come me ha avuto l’opportunità di vivere certi eventi antichi, ritrovare parte di quei protagonisti miscelati su di un palco, con l’obiettivo - questo è ciò che mi è arrivato - di divertire divertendosi, è quanto di meglio ci si potesse attendere. Dei Rossi e company ripropongono brani del repertorio conosciuto, in bilico tra “Collage”, “ Uomo di Pezza” e “Verità Nascoste”, arrivando all’apice con il condensato di “Felona e Sorona”, una sorta di bandiera della musica progressiva italiana, molto gradito dal pubblico che ha sottolineato più volte lo stato di apprezzamento. Viene richiesto a gran voce “Gioco di Bimba” - certi brani rimangono appiccicati per sempre addosso - ma la canzone/simbolo sarà tenuta per l’atto finale, quando Spitaleri e Di Giacomo duetteranno in scioltezza. La band presenta un buon amalgama e l’audience ripagherà con il sostegno continuo. Ecco un sunto da Felona e Sorona:
Il BANCO si presenta con la formazione da anni collaudata, con la sola assenza giustificata di Rodolfo Maltese. I “vecchi cardini” sono ancora Vittorio Nocenzi e Francesco Di Giacomo, rispettivamente tastiere e voce, mentre il resto della truppa comprende Tiziano Ricci al basso, Filippo Marcheggiani alle chitarre, Alessandro Papotto ai fiati e Maurizio Masi alla batteria. Anche in questo caso il ripercorrere alcune tappe passate è d’obbligo, con pillole di saggezza di Big Francesco che ci riporta al triste presente, commentando tra un brano e un altro. Ma la musica riesce a dare messaggi positivi e la soddisfazione di riuscire a far passare ore “sane” a chi ti è di fronte mentre suoni e canti è, credo, lo stimolo supplementare che induce a proseguire della strada della condivisione e proposizione musicale. L’energia che scaturisce dal palco attraverso pezzi come “R.I.P.” o il “Il Ragno”, trova il giusto contrappunto nella ballad “Non mi Rompete” o nella perfetta “750.000 anni fa… l’amore?”, sempre capace nel far scaturire emozionanti brividi. La sensazione che si avverte dall’esterno è che la band abbia trovato un nuova forza, un rinnovata motivazione nel macinare chilometri per proporre il proprio credo musicale. Difficile esaltare il singolo perché non è con isolate unità che si possono raggiungere certi risultati. Ascoltare per credere:
Circa tre ore di musica per una serata indimenticabile che arriverà al perfetto epilogo attraverso la congiunzione di anime, undici musicisti che troveranno il giusto innesco per completare un lungo set capace di deliziare i fortunati spettatori. E io, ancora una volta, ero presente.
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