La seconda parte di questo libro che - come indica il sottotitolo - affronta "il ruolo delle donne col fucile in spalla", riporta le testimonianze raccolte da Casamassima in Valsabbia: luoghi montani sovrastanti quella Salò che ospitò la Repubblica Sociale. Nell'ospedale della cittadina fino a quel momento nota per aver dato i natali a Gasparo, l'inventore del violino, fu portato un partigiano poi destinato alla fucilazione: per liberarlo, perse la vita il ventenne Ippolito Boschi, la cui azione partigiana fu ereditata da sua sorella Maria: una delle donne presenti in questo libro. La sua narrazione - lucida e priva di qualsiasi concessione alla facile suggestione emotiva - ripercorre le giovinezze interrotte di due fratelli, uniti da un destino comune ad altri coetanei. Come Elsa Pellizzari, ora instancabile ottuagenaria in costante "tour" nelle scuole "perché i giovani devono sapere", allora ragazzotte quindicenni, sedicenni, che inforcavano la bicicletta per oltre trenta chilometri con le bombe a mano nascoste sotto la sella ("guai a prendere una buca: saltavi per aria. Ai posti di blocco facevamo le smorfiose con i soldati tedeschi che così ci facevano andare via") e i messaggi per i partigiani cuciti nei risvolti delle gonne. "La guerra era finita, i tedeschi in fuga, ma ai Tormini, in cima a Salò, resisteva una truppa con una mitragliatrice. Dopo tante discussioni riuscii a farmi mandare come messaggera, a dire loro che se se ne andavano via subito, avrebbero avuto salva la vita. Mi tremavano le gambe. Parlai duramente. Loro se ne andarono, io corsi indietro a piedi, senza fermarmi mai finché mi sentii al sicuro". A una domanda precisa sul loro ruolo, una di esse risponde "Non abbiamo fatto la guerra, noi. Abbiamo fatto solo le donne".
Di Redazione. 26 novembre 2012 | Archiviato in Echi quotidiani