Oggi, 14 settembre 2011, la Papera ha urlato per la prima volta, forte e chiaro, la parola “papà”. L’ha detta un po’ a modo suo, mischiandola alla parola “mamma” (che conosce già da un mesetto) prima di scandirla con precisione, però l’ha detta. E io sono stata felice, davvero felice per mio marito. Forse anche più felice del giorno che l’ho sentita chiamare me. Perché solo io, osservando lui, so quanto è difficile non poter vivere tutta la settimana sotto lo stesso tetto di una figlia a causa del lavoro. Solo io so come si ricacciano indentro le lacrime che vogliono uscire copiose dagli occhi ogni domenica mattina sui binari di una stazione semi-deserta. Solo io conosco i dubbi di un genitore che va e viene, viene e va, pur volendo restare. E questo post, allora, lo dedico proprio a lui, a mio marito, l’uomo migliore che potessi desiderare e che il destino potesse mettermi davanti. Il padre più affettuoso e presente (nonostante l’assenza – e non è poco) della Terra.
Così è successo, dunque, che Amaranta ha detto papà: “Ma-mma, ma-pà, pa-mma, BA-PPA’, BA-PA’, PA-PA’, PA-PA’, PA-PA’ ‘”