Veniamo a Ieri. Sembra di essere tornati all’Inter sconclusionata degli anni ’90, quella senza filosofia di gioco, personalità, identità. Undici pedatori, molti dei quali non privi di talento e capaci pertanto d’inventare la giocata giusta, sufficiente a volte per portare a casa il risultato. Non certo per entusiasmare. Noi orfani di Mou (sedotti e abbandonati, ma pronti a perdonare!), abituati a vincere a tutte le latitudini, facciamo fatica a risintonizzarci con la mediocrità di un Lucescu qualsiasi. Con l’improvvisazione non si arriva da nessuna parte. E neanche con la presunzione di volere a tutti i costi piegare alle proprie (poche) idee le caratteristiche tecniche e agonistiche di calciatori che da una vita sono abituati ad altri metodi di lavoro, a moduli interiorizzati nel tempo, difficilmente sostituibili con schemi da squadrette di provincia.
Ditemi se esistono squadre di vertice che giocano con la difesa a tre. A me non ne risulta nessuna. Un motivo ci sarà. Questione di coperta. E quando è troppo corta – ce l’hanno insegnato, ancor prima di Mourinho, Rocco e il Trap – la preoccupazione principale deve essere quella di non prenderle. Per segnare, con una squadra dotata di buone individualità, ci sarà sempre tempo.
La fase difensiva dell’Inter fa ridere. E non da ieri. Da questa estate, ogni calcio d’angolo a favore diventa una chiara occasione da rete per gli avversari. Idem per ogni pallone perso oltre la linea di metà campo. Il centrocampo fa poco filtro e davanti alla difesa si balla. Jonathan sta a Maicon come io – quando ancora calcavo i campi polverosi di seconda categoria – stavo ad Andreas Brehme, nonostante il “fluidificante di fantasia” affibbiatomi da Enzo Baietta. Sneijder in panca, per fare posto al clone di Pandev (Zarate), è una bestemmia calcistica paragonabile soltanto all’impiego di Forlan sulla fascia. Voglio dare i numeri anch’io: 4-3-1-2. Una bella e solida difesa a quattro, tre picchiatori nel mezzo e Sneijder dietro due punte. L’uovo di Colombo.