Magazine Cultura
L'altra sera, al teatro greco di Montjuïc, sono riuscito insperatamente a vedere il mio secondo concerto del trio formato da Keith Jarrett, Gary Peacock e Jack De Johnette. Rispetto a sette anni fa (Umbria Jazz 2004), questo incontro - tutto di standard - è stato caratterizzato da una scansione emotiva completamente diversa: un primo tempo decisamente in ascesa, con il classico brano iniziale molto tecnico, per scaldarsi, seguito da una climax affettiva inebriante, perfetta sul piano musicale; un secondo tempo, a mio avviso, un po' troppo di testa, dove io - che di jazz purtroppo capisco ancora poco - ho fatto un po' fatica a raccapezzarmi.
E i bis, quattro acclamatissimi bis che hanno segnato la differenza tra questo e qualunque altro trio io abbia mai sentito dal vivo, un alternarsi geniale di tempi e di ritmi che hanno esaltato una platea grata per lo spettacolo della musica, per l'intonazione e l'accordo perfetti tra i tre musicisti e una capacità di parlare al pubblico, di accoglierlo nel suo spazio. Posso non aver riconosciuto o saputo dare i nomi ad alcuni brani, ma posso annoverare questo di Barcellona come uno tra i concerti più intensi a cui abbia mai assistito.
E ieri, dopo l'esperienza della musica, ho visitato un po' ciò che Barcellona offre sul piano della cultura musicale. Intanto il Museu de la Musica, situato nel contesto dell'Auditorium, una struttura ormai vecchia e abbastanza ingrata dell'urbanizzazione secondonovecentesca della città. Il museo si sviluppa su un piano ed offre un gran numero di strumenti originali con una sezione etnomusicologica non spregevole. Le sale danno su un cortile interno e lungo tutto il percorso, sotto le finestre, il visitatore trova delle teche su cui si legge in brevi testi (in catalano, spagnolo e inglese) la storia della conservazione, della registrazione e della distribuzione dell'opera musicale europea, dalle sue origini al lettore MP3 (con un retorico interrogativo sul futuro nell'ultima teca).
La luce è buona e ben calibrata, gli strumenti sono bellissimi, molto interessanti nella loro varietà e ben esposti; ciò che colpisce, però, è la cacofonia dell'insieme: la musica di sottofondo va in contrasto con l'audioguida che propone, per certi strumenti, brevissimi brani che stentano a dare l'idea del suono specifico; si aggiunga la proiezione su pareti libere di filmati sonori, con gran danno dell'insieme. Il Museu de la Musica di Barcellona è senz'altro più ricco e significativo della vasta e luminosa sala di Berlino, ma non ha niente a che vedere con l'incredibile varietà e struttura della Cité de la Musique di Parigi, uno dei templi più importanti della cultura museografica in ambito musicale (e, senz'altro, il più bello che io conosca).
Di pomeriggio, poi, ho visitato il tempio della musica a Barcellona: il Palau de la Musica Catalana. Purtroppo, non è assolutamente possibile far fotografie all'interno del Palau, dunque consiglio a chi volesse di girare un po' sui motori di ricerca, a chi potesse assolutamente di andarci. Perfino in una città che, andando avanti così, rischia di diventare, tutta intera, patrimonio dell'umanità, questa sala da concerto è un miracolo di bellezza e luce. Ideato, progettato e realizzato dal 1905 al 1908 da Lluís Domènech i Montaner, è un mirabile esempio di modernismo catalano. Fantasia inesauribile, colori e forme floreali ovunque, particolari che stentano a essere colti, tanto sono numerosi, oltre duemila posti e un palco modulabile in estensione sul tipo di spettacolo proposto sono le caratteristiche del teatro.
Il Palau de la Musica Catalana ospita ogni genere di spettacolo, esclusa l'opera, perché non ci sono né fossa orchestrale (i musicisti ospitano in scena) né sipario e le scene sono fisse. Lluís Domènech i Montaner aveva progettato, d'altra parte, questa sala perché ospitasse ogni genere di musica: visto dagli spettatori, il lato sinistro del palco ospita le muse intente a suonare musica popolare catalana e il lato destro sculture attinenti al grande repertorio della musica classica. L'architetto (e uomo politico di sinistra) Lluís Domènech i Montaner aveva anche fatto in tempo a pensare all'elettricità per i concerti serali, ma il gran lucernario centrale contribuisce - insieme alle enormi aperture delle finestre - a irradiare la luce naturale durante il giorno.
Città superba, Barcellona, città di luci, colori, città di suoni, città leggerissima.
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