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Quella del Barcellona al Milan al Camp Nou, per la gara di ritorno degli ottavi di finale di Champions League, è stata una lezione di calcio. Che si può dividere in 5 piccoli sottocapitoli, validi non solo per i rossoneri, ma per tutti (e per le squadre italiane in particolare).
1) Non c'è un tiqui-taca buono e uno cattivo. O meglio: non c'è un tiqui-taca brutto da contrapporre a uno bello. Il tiqui-taca è uno solo: la differenza sta nella velocità con cui lo si esegue. Quella dell'andata a San Siro diventa uno sterile possesso palla che presenta rischi altissimi, se altrettanto lento è il pressing altissimo che ne rappresenta il presupposto. Se invece la velocità di pressing e del giro di palla è quella del ritorno al Nou Camp, il tiqui-taca diventa letale. E bellissimo.
2) Con il primo dei due gol (su azione) segnati al Milan, Messi ha compiuto un altro piccolo passo verso la (definitiva) consacrazione a erede di Maradona. In molti hanno rivisto nel movimento della Pulce la rete segnata dal Pibe alla Grecia nel Mondiale del 1994. Ma se uno la riguarda, per una volta il paragone è a favore di Leo: i tempi della sua esecuzione sono parecchio più rapidi.
3) Quando si parla di Maradona e Messi, a vantaggio di Diego si è soliti dire che lui resta più grande perché portò da solo il Napoli e l'Argentina a vittorie storiche. Messi, invece, sarebbe grande anche perché gioca in una squadra molto più piena di talenti, mentre in nazionale non riesce a fare la differenza. Detto che se si riguardano le formazioni dell'albiceleste degli ultimi anni, forse non è esistita nazionale potenzialmente così forte, per il Barcellona il discorso prescinde dalla potenzialità: è certezza. Passerà qualche secolo prima che si riveda una combinazione genetica tale da permettere a una squadra di mettere in campo un terzetto come Messi, Xavi e Iniesta. Lo si è capito nel primo gol al Milan (con il triangolo fra Xavi e Messi), nel secondo (con Iniesta che riconquista il pallone come il più cattivo dei mediani e poi apre di esterno destro a Messi) e pure nel terzo: tocco di Iniesta a Xavi, il quale di prima apre in diagonale a David Villa. È vero, Constant sbaglia a intervenire in scivolata. Ma davvero è il caso di fargliene una colpa, vista la velocità dell'azione?
4) L'errore difensivo di Constant, volendo, è però il simbolo di qualcos'altro: del valore effettivo del calcio italiano. La squadra più in forma del nostro campionato, che ha risalito vertiginosamente le posizioni della classifica, non ha praticamente mai visto la palla al Camp Nou. È vero, il palo di Niang sull'1-0 avrebbe potuto cambiare la partita. Ma curiosamente, nel gioco dei se e dei ma tutti si scordano della traversa colpita da Iniesta, dieci minuti prima. Il punto è quindi un altro: i 4 gol presi dal Milan al Camp Nou si sommano ai 3 presi dall'Inter a White Hart Lane. Come dire: quando il gioco si fa duro... Su questo la Juventus, unica italiana rimasta fra le magnifiche 8 di Champions, potrà dirci qualcosa di più. (Il Celtic non faceva testo).
5) Perché, comunque, la partita del Camp Nou dimostra soprattutto una cosa. Che sembra ovvia ma che il 2-0 di San Siro aveva fatto credere un po' a tutti di poter ignorare: la crescita di qualsiasi squadra (oltre a giocatori in prospettiva buoni, ottimi o anche fuoriclasse) richiede tempo, pazienza e sconfitte da cui si impara. Il Milan è esattamente in questa fase e sarebbe un errore scordarsene. Errore forse commesso tra la partita d'andata e quella di ritorno. Quei primi 5 minuti al Camp Nou, senza mai passare la metà campo e con nemmeno un passaggio riuscito ne sono stati la dimostrazione più spietata.
T. Pellizzari
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