Un anno di lotta. Un anno in cui il giardino delle suore dove alloggiavamo a Verona era ricoperto da una coltre bianca di neve. Come tanti fermo immagine, il tempo passava: la neve iniziò a sciogliersi e i primi fiori a germogliare timidamente dal terreno. Li abbiamo visti crescere, giorno dopo giorno. Il tempo scorreva: era giunta l’estate e poi di nuovo il vento freddo invernale. I fiori erano appassiti in quel giardino segreto così come il tempo di Mari era ormai giunto al termine.
Il dolore è una ubriacatura colossale. Le sensazioni di un dolore forte sono quelle. Ma nessuno me lo aveva detto. Il dolore che si prova quando si è piccoli è diverso. Pian piano si assimila, si abbraccia e si cresce con esso. Ma quando si è grandi si pensa continuamente e alcune volte questi pensieri possono far male come mille stilettate al ventre.
Il dolore è un sentimento che si prova spesso nel corso della vita, dovrebbe rafforzarci e le sofferenze dovrebbero renderci coraggiosi.
Sto cercando di riconquistare questa “forza”, anche se non è semplice. A 26 anni, appena compiuti, un male abominevole ha portato via la mia metà razionale, mia sorella, e all’improvviso tutta la forza che si è avuta fin a quel momento all’improvviso svanisce.
Spesso vengo risucchiata su un divano, cercando di pensare ai momenti felici ma ciò che sopraggiunge è il ricordo di un anno di malattia.
Mi dicono che i ricordi felici arriveranno… un pò come avveniva in Peter Pan. Prima o poi quei pensieri ci faranno volare e forse sarà così, forse le favole non mentono, sono pillole che addolciscono i momenti di tristezza.
Ma ora è difficile. E’ difficile scrivere ciò che si prova in questi momenti. Alterno momenti in cui colta da una fiacca adrenalina faccio ordine, momenti in cui mi butto sul divano, momenti in cui leggo o scrivo. Guardo qualche foto, ma anche quello fa male. Avvicinarsi ai suoi libri, ai suoi vestiti e alla sua camera non se ne parla. Era così bella, ora io invecchierò e lei porterà per sempre il vestito color rubino che le stava d’incanto.
E’ come se vivessi sospesa a mezz’aria, cercando di non farmi troppe domande per paura di darmi delle risposte. Tutte le certezze che avevo prima vacillano. Dicevo: “dopo la morte? Nulla!!”, ora spero che lei non soffra, che non sia sola, che sia con mio padre e che non senta freddo.
“Dove sarà? Ci vedrà? La rivedrò?” Domande a cui nessuno può rispondere. Continui pensieri che assillano la mente. Forse anche lei fluttua come i miei pensieri, cerca una via e un modo per ricominciare.
Avrei tanta voglia di sapere se sta bene. Vorrei sapere se la malattia che l’aveva così tanto trasformata alla fine, sia stata finalmente sconfitta e mia sorella sia tornata la solita sister sorridente e qualche volta un po’ arrabbiata verso il mondo.
Con Mari ho foto da quando sono nata, con lei condividevo gioie, pensieri, litigi da sorella, regali, telefonate lunghissime e messaggi da appena sveglie al mattino presto prima di incominciare a studiare.
E ora? Chi farà tutto questo con me? Chi mi correggerà la tesi prima di inviarla al prof.? Chi mi spronerà a non aver paura?
Che strana cosa il dolore… e che strana cosa la perdita.
Quando guardavo il film “A time for dancing” piangevo sempre e alla fine leggevo: “basato su una storia vera”. Non sapevo che quella storia sarebbe diventata la nostra. In un anno è successo di tutto. Un anno. Gli anni passano così inutilmente, noi non ci accorgiamo del tempo che scorre, ma lui ci divora. All’improvviso tutto cambia.
Mi ponevo un unica domanda: “Perchè?”. Mi dicevo c’e ancora Speranza. E allora partiamo per Lourdes.
Da quella vasca io non sono uscita asciutta. Ma ho pregato. Mari ci credeva veramente e quegli occhi pieni di tranquillità e speranza, davanti al prete, non potrò mai scordarli. Erano così dolci e pieni di luce. Forse il miracolo era destinato a qualche altro fedele. Noi ci abbiamo creduto. Lei ci ha creduto.
Ora invece continuo a ripetere: “evabbè”. Tutto unito, sospirando. Come se questo fosse il destino che ci attendeva. Così era scritto ma non lo sapevamo. Quello che rimane è una fotografia annerita. Una pellicola esposta alla luce prematuramente e ormai bruciata. Ma non è persa, questo sbaglio del destino può insegnarci a rendere unica quella foto. Forse si deve solo aspettare e scrivere sulla pellicola, graffiarla con segni sinuosi in modo che diventino ricordi cicatrizzati sulla pelle. Un dolore che non si cancella e io voglio fidarmi di chi mi dice che presto queste sensazioni si trasformeranno in altro. Ma fa male. Non devo dimenticare che è come se fosse qua con me, ma al momento è una magra consolazione. Lei non c’è e non ci sarà.
In questo periodo ho ricevuto molte parole, lettere e frasi di una dolcezza infinita. Non mi sarei mai aspettata tutto questo amore, ma ogni singola parola, anche la più timida e impaurita, mi ha e ci ha dato forza. Storie e ricordi che fanno bene, piccoli graffi che iniziano a scalfire quella superficie così spessa come pietra lavica. Piccole fiammelle d’amore così luminose che a momenti risplendono e ti accarezzano il volto con gentilezza, sperando che prima o poi l’equilibrio si ristabilisca e al dolore subentri la gioia dei ricordi.
Come ho sempre sostenuto l’arte aiuta a farci capire il mondo e i piccoli cambiamenti che avvengono in noi e che spesso sottovalutiamo. Allora il primo riferimento venutomi in mente, oltre al bisogno di scrivere e raccontare i miei pensieri, è stata l’opera dell’artista Sam Taylor Wood, “A little Death” descrive alla perfezione quello che ho visto in un anno di vita e la trasformazione del corpo. Caravaggio rappresentò diverse vanitas e la mela bacata era il simbolo di morte e caducità ma la Wood attraverso il video fa vedere la decomposizione del corpo, giorno per giorno. Il lento appassire della vita.
Immagini forti, colte in periodi lunghi e concentrate in un breve video ma altro non sono che il trascorrere del tempo e della vita.
Questo scritto nato per me stessa e come sfogo personale, è stato letto da mamma in chiesa per il trigesimo di Mari, abbiamo deciso di condividerlo con tutti coloro che ci hanno mostrato il loro amore, parole sicuramente non felici, ma piene di forza d’amore. Un modo per ringraziare chi prova a donarci il loro amore e ci abbraccia con il pensiero.
Io non sarei mai riuscita a leggerlo. Posso scrivere e scrivere… ma non leggere i miei pensieri. Mamma ha avuto questa grande forza con la mano tremolante e la voce distrutta dal dolore, ma forte e ferma. Un amore infinito.
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