E’ degli ultimi giorni la notizia della rinuncia del Club Atletico Romagna al massimo campionato di basket femminile. Il torneo di A1 riprenderà quindi il 6 gennaio con un calendario modificato ed una formula che probabilmente non prevederà retrocessioni.
Per il torneo femminile la rinuncia del club di Faenza è l’ennesimo duro colpo dopo la sparizione di Como e San Giovanni (poi ripartita dall’A3). La stessa Taranto, campione d’Italia, si è vista costretta a rinunciare all’Euroleague per motivi economici, e altre società in A2 fanno seria fatica a proseguire serenamente la stagione.
Viene da chiedersi che senso abbia tutto ciò. Da ormai un decennio ogni fine campionato i tifosi dei nostri club, siano essi di calcio, basket o volley, non possono nè esultare nè rammaricarsi per un titolo, una promozione o una retrocessione. Tanto tutto verrà poi modificato da tribunali ordinari, giustizia sportiva, Corti dei Conti, leghe e federazioni. Le società vengono vendute, rifondate, fuse, regalate, messe all’asta, date in mano a gente a cui a fatica si affiderebbe la gestione di un condominio, licenziati manager, dirigenti, medici, allenatori, giocatori e tifosi…
Come, i tifosi? Ebbene si, il risultato di tutto questo teatrino è una totale perdita di credibilità del sistema sportivo “professionistico” (il virgolettato è più che mai voluto) italiano. Come si può chiedere ad un tifoso di essere fedele a dei colori che rappresentano un club, una città, un simbolo quando poi dopo ogni stagione viene completamente ridisegnata la cartina geografica degli sport di squadra? Come si può chiedere all’appassionato di seguire il proprio team quando spesso non si dispone nemmeno delle strutture dove farlo giocare?
Purtroppo il problema non è solo legato alle realtà più fragili, come potrebbe essere il basket femminile. Anche al maschile le sparizioni di società come la Fortitudo Bologna, la Benetton Treviso e il Napoli Basket, ma anche le meno recenti scomparse di piazze storiche come Livorno o Torino, rendono chiarissimo come il panorama della pallacanestro italiana sia più simile ad un cimitero che ad un movimento vivace ed in salute.
Cosa fare quindi? Le proposte sono molte, quello che a me sembra però indispensabile è una seria riflessione su tutto lo sport professionistico italiano da parte dei vertici, ossia il CONI, in quanto la fragilità economica dei club e la perdità di appeal dei campionati è un fenomeno troppo diffuso. La sparizione di una società sportiva dovrebbe essere un evento straordinario, tragico ed un fallimento di tutto lo sport italiano, invece oramai è diventata quasi una triste normale quotidianità.
OA | danilo.patella