Se gli extraterrestri, che ci osservano da secoli, dovessero
riassumere la quintessenza dell’odierno modus
cogitandi et operandi del genere umano, dovrebbero correggere il tiro. Un analista
alieno che a suo tempo avesse definito “civiltà dei consumi” la realtà che
stava studiando, oggi relazionerebbe ai suoi superiori che i terrestri hanno
fatto un balzo esponenziale, per cui vivono nella “civiltà dello spreco” e non
si preoccupano affatto del depauperamento del pianeta. Come dargli torto? Per
me, che sono nato nella metà degli anni Cinquanta, e perciò appartengo a una
generazione che fu educata alla parsimonia e al risparmio, perché soldi ce n’erano
pochi e bisognava ricostruire un Paese uscito malconcio dalla guerra, la sola
idea di sprecare qualcosa mi fa accapponare la pelle. Ma i tempi sono cambiati.
Oggi la regola socio-economica non scritta ma imperante è: sprecare, sciupare,
dilapidare.
Viviamo in un mondo che a partire dalla fine degli anni Settanta ha
prima indotto e poi legittimato il consumo di beni di cui prima non si sentiva
la necessità. Alcuni utili e necessari per migliorare la qualità della vita,
sia chiaro, ma molti inutili, effimeri, negativi perché forieri di dipendenza. Gradualmente,
in nome di un regime produttivo sempre più famelico, si è affermata la cultura
del consumo ad ogni costo. Il modello di sviluppo capitalistico ha imposto i
falsi bisogni e il consumo compulsivo. Compriamo di tutto e più del necessario,
siamo suggestionati da pubblicità ingannevoli, promozioni irrinunciabili,
stimoli artificiali, modelli sbagliati e ricatti artati. Mentre prima le cose
si facevano durare il più possibile e quelle rotte si aggiustavano, nel
rispetto di una cultura conservativa – dove l’essere ancora prevaleva sull’apparire,
e quindi sull’avere – la Non-cultura in cui conta solo ciò che possiedi (e più
possiedi più vali) ha creato nuove e scellerate abitudini. Le cose non sono
fatte per durare, devono essere consumate in fretta per non frenare l’attività
produttiva.
Le televisioni commerciali, all’inizio degli anni Ottanta, hanno creato
falsi miti, necessari per lo sviluppo del sistema. Forse, qualcuno dei miei
lettori ricorda il jingle televisivo
di Canale 5 con cui fummo bombardati ai primordi del fenomeno: “Corri a casa in
tutta fretta, c’è un Biscione che ti aspetta!”. Pensavamo ci aspettassero
programmi d’intrattenimento e film che sancissero la fine del noioso regime
della Rai. Era in parte vero, ma in realtà ci aspettava su Canale 5 il
bombardamento degli spot pubblicitari che ha dato avvio al consumismo. Il segnale
delle TV commerciali è entrato nelle nostre case allo stesso modo in cui il
cavallo di legno pensato da Ulisse è entrato nella città di Troia. Il passo verso
lo spreco era solo questione di tempo. Si acquistavano elettrodomestici inutili
(ricordate la pastamatic che aveva la forza di cento braccia?) e li si usava
poco, il tempo necessario per comprare nuovi balocchi. Il passaggio dalla
società dei consumi a quella degli sprechi è avvenuto con facilità, con entusiasmo
finché la pacchia è durata. Sta di fatto che oggi viviamo in un mondo che ha
fatto dello spreco una liturgia laica. Il paradosso è che non ci limitiamo a sprecare
i beni materiali, su tutti il cibo e le risorse naturali. No, sprechiamo il
tempo. E in ultima analisi, sprechiamo la nostra vita. Insomma, viviamo
facendo dello spreco una regola personale oltre che universale, tanto, così
facendo, siamo uniformati. Chi può accusarci di agire in modo sbagliato se tutto
il mondo agisce come noi?
Errore! Occorre arrestare l’emorragia e invertire la
rotta prima che sia troppo tardi, ammesso e non concesso che si faccia ancora
in tempo. Perché il depauperamento del pianeta, effetto primario e collaterale
degli sprechi, è tale da farci prospettare un futuro in cui il soprannominato
analista alieno si vedrebbe costretto a una nuova rettifica, definendoci “civiltà
della sopravvivenza”. Come in una sinusoide, raggiunto l’apice, la curva
rappresentata dal seno precipita verso il basso. L’eccesso di consumi e di
sprechi ci condurrà dapprima verso la penuria e in seguito verso l’esaurimento
delle risorse naturali e di conseguenza alla lotta per accaparrarsi quelle
rimaste.
Basta fare alcune semplici considerazioni up to date per rabbrividire. Cominciamo con gli sprechi alimentari.
Ieri ho letto sul Corriere della Sera
che negli Stati Uniti d’America finisce nell’immondizia il 40% del cibo acquistato
o cucinato. Ogni anno, la spazzatura fagocita 165 miliardi di dollari soltanto
negli USA! L’industria dello spreco non conosce la crisi, anzi continua a
crescere. Gli americani sprecano dieci volte di più di quanto non facciano le
popolazioni del Sud-Est asiatico. In Africa, invece, c’è poco da sprecare e i
bambini del Niger farebbero i salti di gioia se potessero frugare nei
cassonetti degli americani. Nemmeno in Europa si scherza. Lo scialo è enorme,
ogni anno i paesi dell’Unione Europea buttano via 90 milioni di tonnellate di
cibo. Va però sottolineato che il Parlamento europeo si è impegnato a dimezzare
la quantità di cibo sprecato entro il 2020 e che il 2014 è stato scelto come l’anno
europeo contro lo spreco alimentare. E l’Italia? Ogni anno, nel Bel Paese
finiscono tra i rifiuti dai 10 ai 20 milioni di tonnellate di prodotti
alimentari per un valore di 37 miliardi di euro. Con questi “scarti” si
potrebbero sfamare 44 milioni di persone! Alla base di tutto questo sperpero cosa
c’è? In primo luogo i difetti della filiera agro-alimentare. Ma anche l’ignoranza,
la non-coscienza civica, l’ingordigia e la stupidità del consumatore, che non è
necessariamente così ricco da permettersi di buttare via il cibo. Conosco una
famiglia composta da cinque persone (genitori + tre figli) che pur facendo
fatica a pagare l’affitto di casa e non riuscendo a far quadrare i conti, consuma
solo cibi precotti (i più cari) e regolarmente butta più della metà del cibo
cucinato. Non c’è modo di fargli capire che tre cose impoveriscono, come
dicevano i vecchi: ozio, ingiustizia e spreco. Non si spreca solo il cibo,
ovviamente. Si sprecano le risorse, a cominciare dalle più preziose, come l’acqua
o l’energia. La famigliola che ho preso come esempio da non imitare ha l’abitudine
di fare scorrere l’acqua dal rubinetto o lasciare accesa la luce quando si esce
da una stanza, ma anche la radio, il televisore e il computer quando esce di
casa. "Così i ladri pensano che ci siamo!" Nemmeno se ci fosse un Pantalone che paga
per me lo farei. E qui il discorso si fa lungo e complesso. Da noi, gli sprechi
sono un male incurabile. Basti pensare agli sprechi della politica (900.000
euro la scorta dell’ex-ministro Calderoli! E quella di Fini?), del sistema
sanitario, gli sprechi ambientali, sulle opere pubbliche e dell’amministrazione
pubblica, gli sprechi legati al clientelismo e alla corruzione, quelli legati alla
gestione finanziaria e tanti altri sprechi che hanno fatto balzare alle stelle
il debito pubblico e hanno impoverito le famiglie. Tutto ciò accade perché la Non-cultura
ha preso il sopravvento sulla cultura. È come dire che la lezione della cicala ha messo a
tacere la formica. Ricordo che per i miei nonni il pane era sacro. Si poteva
anche buttare via la carne se era andata a male, ma il pane no, lo si mangiava
anche raffermo e lo si grattugiava. Magari tornasse la coscienza che il pane è
sacro mentre non serve a nulla possedere tre telefonini. Già, ma oggi, ogni
anno l’Unione Europea butta via 3 milioni di tonnellate di pane, quanto ne
consuma la Spagna. È l’indice che abbiamo smarrito il buon senso.
Qual è il rimedio, sperando
che ce sia almeno uno? Il mio punto di vista è semplice: bisogna consumare di
meno e meglio. Ai bambini bisogna insegnare che devono svuotare il piatto
perché nel mondo c’è troppa gente che muore di fame e solo in Italia il 24,5%
della popolazione rasenta la povertà. Bisognerebbe
anche insegnare (agli adulti e non solo ai bambini) che per ottenere 1 kg. di riso
occorrono 2.500 l. di acqua e ci vogliono addirittura 15.500 l. di acqua per avere
1 kg. di carne di manzo. Sprecare non è inevitabile. Possiamo vivere senza sprecare,
impedendo il depauperamento del pianeta. È solo una questione di cultura ma la cultura, per
essere formativa, non può fare a meno della sana educazione. Chiunque ha figli
o nipoti in tenera età non ha giustificazioni, a meno che sia un menefreghista. Genitori e nonni hanno il dovere di
educare le nuove generazioni a non sprecare le risorse e i beni, dal cibo all’energia,
dal tempo libero alla vita.
Il mio sogno
è che fra vent’anni, l’analista alieno possa dichiarare ai suoi capi che sulla Terra si è affermata la civiltà
dell’ecosostenibilità, capace di rinnegare la Non-cultura.
[email protected]
-----------------------------
Questa ed altre notizie le trovi su www.CorrieredelWeb.it - L'informazione fuori e dentro la Rete.
Chiedi l'accredito stampa alla redazione del CorrieredelWeb.it per pubblicare le tue news.