Magazine Diario personale

Basta vivere come le cose che dici

Da Iomemestessa

Dei molti, interessanti, spunti sorti dai commenti di ieri, uno varrebbe la pena estrarre dai commenti per dargli dignità propria.

Si parlava della necessità di staccare, che pare ovvia, ma così ovvia non è.

Come dicevo, a me lo stacco, serve per ripartire. Non ho bisogno di chiedere il permesso per staccare, il costo del mio stacco esce direttamente dalla mia tasca.

Quel che forse può risultare più interessante è che nemmeno i miei dipendenti debbono chiedere di staccare. E neppure debbono chiedere parecchie altre cose, a dirla tutta.

Alcuni pensano che dietro al mio modo di gestire il personale vi sia una trascuratezza di fondo. Il che, sia ben chiaro, non è.

Una quindicina di anni fa, circa, mi occupavo di personale e strutture organizzative. Dicevano, gli altri, che avessi un certo qual talento nella cosa. Son convinta, io, (e qui mi lodo e pure m’imbrodo), che senz’altro quell’ambito era quello in cui mi esprimevo, professionalmente, al meglio. Nel senso di: con maggior destrezza, sicurezza e acutezza di visione.

Pure compresi, rapidamente, che ciò non faceva per me. Neo-laureata, ero convinta, davvero, che un altro mondo fosse possibile. Beata innocenza. Purtuttavia, tra i miei molti difetti, certo non si può dire che non sia lesta a fiutare l’aria. Un altro mondo sarà anche stato possibile ma non in questa vita.

La gestione del personale, in Italia soprattutto, ma non solo, è fondata sul concetto cardine che ‘lo schiavo ha da schiattà’. Una volta compreso questo dogma, il resto vien da sé.

Non aiuta l’impreparazione, oggettiva, di molti direttori del personale, anche in realtà importanti, di fatto impreparati a gestire il personale, e le cui capacità sono solo di taglio analitico (ridurre i costi in primis). Quelle cosette che andrebbero sotto il nome di formazione (possibilmente non a pioggia, che è tra le cose più inutili del globo), di incentivi, di sviluppo di carriera, di selezione mirata, sono solo un vuoto rumore di fondo.

Quando cominciai, sempre beata innocenza, ero convinta che la gestione del personale dovesse essere a misura di persona. E non una mera ottimizzazione economico finanziaria delle risorse. Ne ero convinta come quasi tutti quelli della mia generazione, peraltro. Realizzato che il potere decisionale era in mano a chi scambiava la funzione di direttore del personale con quella di poliziotto (pure stronzo), una parte anche ampia di quelli che credevano di cambiare il mondo si assoggettò rapidamente (e senza troppo sforzo, aggiungerei), altri, tra cui io, considerarono che se volevam fare i poliziotti entravamo in polizia, e passammo ad altro.

Resto convinta che una gestione ‘umana’ renderebbe le aziende più efficienti. E nel mio piccolo, l’ho visto accadere. Oggi, di quelle questioni mi interesso al più sotto il profilo dell’interesse personale. Resta la desolazione dello spettacolo che ci si presenta quotidianamente dinanzi agli occhi.

Di seguito un decalogo ad uso e consumo del medio direttore del personale italico.

1. Il dipendente non è Kunta Kinte, e tu non sei sul set di Radici.

2. Per l’assioma precedente, Kunta Kinte troverà la forma più sottile ed efficace di mettertelo in quel posto. Ciò avverrà nel momento più improvvido, mentre già colpito a morte stai rantolando. Nessuno avrà pietà di te. Di certo, non io.

3. 10 ore al giorno senza alzare la testa dalla tastiera, senza sviare lo sguardo dal monitor, sono insostenibili. La concentrazione non regge così a lungo. Ciò non di meno, il dipendente lo farà, giacché tu glielo ordini. Pur tuttavia pensando soavemente ai cazzi propri e lavorando nei fatti assai peggio di come farebbe.

4. Corollario al punto 3. Non importa se uno lavora 10 ore, 12 ore, o 6 ore. L’importante è ciò che fa. e come lo fa. Non storcere il naso. Sai benissimo che ci sono degli strumenti per valutare la produttività di un dipendente. Solo che è una gran rottura di coglioni, e richiede parecchio tempo. Quindi, lo sfaticato, sei tu, non Kunta Kinte.

5. Nell’era degli smartphone, vietare l’accesso a internet dai pc dell’ufficio non è solo inutile. E’ pure patetico. E aggiungerei, lesivo della dignità del prossimo tuo. Non stupirti quando Kunta Kinte si ribellerà.

6. Negare permessi ed uscite extra, non fa di te un direttore temuto e rispettato, ma un povero stronzo. Peraltro, non è che se impedisci a qualcuno di accudire un bimbo malato o un anziano genitore, questi sarà il dipendente modello quel giorno. Perchè, sappilo, passerà la sua vita al cellulare, lavorando peraltro col culo, con le immaginabili conseguenze. Non si sta facendo appello alla tua inesistente umanità, ma al comune buon senso. Ah, già cazzo, ti manca pure quello.

7. Ci sarà sempre un’informazione essenziale da reperire in rete. E in quell’unico caso Kunta Kinte (giustamente) col cazzo userà il suo smartphone su cui fino ad un attimo prima messaggiava con l’amante. Per contro, chiamerà il service interno, che chiamerà il CED, che chiamerà altre otto persone, finchè gli sbloccheranno per un’ora il pc affinchè acquisisca le richieste informazioni. Se tu facessi due conti su quanto è costata tutta questa mafrina, avresti la visione del casino di soldi sprecati. Ma non lo fai. perchè richiederebbe fatica (e si torna al punto 4) e soprattutto perchè quando distribuivano la capacità di autocritica, tu eri in coda nell’altra fila per una dose supplementare di stronzitudine.

8. Lo so che fare formazione è contro la tua religione. Purtuttavia al finance frutta parecchi soldini in termini di contributi governativi e comunitari. D’altronde per farla bene, si torna al punto 4, toccherebbe lavorare. Mandare i contabili a fare il corso di inglese nell’anno pari, e i commerciali a fare quello di partita doppia non è solo ridicolo, sarà l’arma che si ritorcerà contro di te, il giorno che ti segheranno (per uno piu stronzo, comunque)

9. A mero titolo informativo, il mondo come noto è fatto a scale. Ti rammento che quelli che incontri salendo, son gli stessi che incontri scendendo. Non vorrei essere al posto tuo.

10. Per quanto possa sembrarti insolito, il mondo è una giungla. E anche se pensi di essere Tarzan, la ferale notizia è che c’è sempre, nel tuo ambiente, un Tarzan più giovane, più forte, più ambizioso, o, banalmente più stronzo. Per cui, ogni mattina, quando entri in ufficio, guardati intorno, il nemico, potrebbe essere alle spalle. Lo sai già? Bravo. Bella vita di merda, se mi posso permettere.


Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog