Una collina della campagna francese immersa in un mare di ondeggiante erba verde.
Una piccola casa in legno incorniciata da un'inquadratura dal respiro ampio e suggestivo.
Un'ascia, una camionetta delle SS.
Potrebbe sembrare un classico film sui nazisti dai toni seri e drammatici.
Invece sentiamo delle note dallo stile inconfondibile: il ritornello di “Per Elisa” accompagnato da ritmi western alla Sergio Leone.
E' lui: Quentin Tarantino è tornato.
Abbandonate le spade giapponesi e i criminali in giacca e cravatta, Tarantino si cimenta in un'impresa per lui inusuale: il film storico. A solcare l'uscio di quella piccola casa contadina è infatti il colonnello Hans Landa (il gargantuesco Christoph Waltz): mellifluo e inquietante nazista che beve latte e tocca tutto e tutti in modo quasi gioviale ma che improvvisamente si lancia in gesti di estrema e rapace violenza. Dopotutto è egli stesso ad affermare con orgoglio che il suo soprannome, Il cacciatore di ebrei, se l'è più che guadagnato. Nella stupenda scena iniziale, Landa spiega dunque come riesce a scovare gli ebrei: sono come topi, quindi per trovarli basta pensare da topi. Ecco i nazisti secondo Tarantino: la lucida follia del male più cieco e insensato, la crudeltà del gatto che gioca con il topo, il sorriso sornione che nasconde intenti omicidi. Azioni e sentimenti così intollerabili e mostruosi da meritare vendetta: visto che la Storia non si può cambiare, almeno la storia raccontata deve necessariamente avere la sua rivincita. Bastardi senza gloria è infatti una storia di vendetta: la vendetta del cinema sui fatti reali. Per essere un film d'azione e di guerra si agisce poco e si parla molto: la maggior parte delle sequenze si svolge intorno ad un tavolo. Qui i personaggi raccontano storie, raccontano se stessi e ci portano in un mondo che tutti avremmo voluto vedere: un mondo in cui un manipolo di soldati ebrei uccide a suon di colpi di mazza da baseball i nazisti, per prendere poi il loro scalpo. E' il western che si camuffa da film storico. E quando non si parla seduti intorno ad un tavolo si ha a che fare con il cinema: Shosanna ne possiede uno, Goebbels e Zoller hanno girato un film, l'inglese Hicox è un critico cinematografico e Bridget von Hammersmark, la spia tedesca, è un'attrice. E proprio in un cinema Hitler trova la sua morte artificiale: il cinema riscrive dunque la storia, diventa metafora della vita e punto di vista privilegiato e universale (come testimonia il sapiente uso di ben quattro lingue), nonché unico elemento in grado di ottenere vendetta contro un uomo che, fino all'ultimo, è rimasto impunito. Se la Storia ha espresso il suo giudizio su Hitler, il cinema e Tarantino hanno avuto l'occasione di potersi fare beffe di lui, di esorcizzare questa figura ormai iconica e indelebile dall'immaginario collettivo come simbolo del male assoluto. Bastardi senza gloria però è soprattutto una dichiarazione d'amore per il cinema e sulle sue infinite possibilità. Shosanna (e Tarantino) affida il suo messaggio alla pellicola e attraverso la pellicola incendia il cinema: il cinema arde, arde di passione e di speranza, può raccontare, testimoniare, cambiare la storia, inventarne di nuove, dare vita a personaggi così assurdi da essere più veri della realtà, diventare forma espressiva necessaria, sogno che si fa vivo e palpabile.
“Questo potrebbe essere il mio capolavoro” dice in chiusura il tenente Aldo Raine.
Togliamo quel condizionale, Quentin.