In libreria da domani, mercoledì 13 ottobre 2010.
Remo Bassini continua il suo convicente viaggio nella provincia italiana. Lo fa con una storia che non concede sconti, addentrandosi come un cronista nelle pieghe dei fatti.
Fra evocazioni di Dashiel Hammet, quello di Piombo e sangue, e atmosfere alla Georges Simenon, Remo Bassini continua a orchestrare con lucidità e sapienza narrativa il suo nero canto dolente della provincia italiana.
Dopo la politica marcia e il potere corrotto degli altri suoi ottimi e avvincenti romanzi, in Bastardo posto è di scena anche la mafia. Nell’inferno in terra raccontato da Bassini raramente c’è redenzione.
(Massimo Novelli/La Repubblica)
Bambini misteriosamente scomparsi, oggetti del desiderio di un prete quasi santo. Macchinette mangiasoldi, corruzione che coinvolge forze dell’ordine e organi di informazione, potere mafioso, e un male di cui i giornali non diranno mai, perché invisibile e potentissimo.
Cinque notti e un manichino nudo che guarda la città. Solo una deflagrazione potente potrebbe dare un po’ di pace a Paolo Limara, giornalista che non sa decidersi se vivere da pecora o da leone, e a don Fabrizio, prete alla prese con i segreti degli altri e con la propria coscienza.
La speranza è appesa a un filo, e alla fine saranno proprio le schegge impazzite le uniche che proveranno a destabilizzare il potere invisibile.
Eur.14,00 – Pagg.176
Isbn 978-88-8372-497-8
Collana Corsari
A uso e consumo di chi non è iscritto a FaceBook, trascrivo a seguire una nota dell’autore stesso. Parla del romanzo, ovviamente, ma non solo. Anzi, parla di tutt’altro. Leggetela, datemi retta, perché ne vale davvero la pena.
Tra cinque-sei giorni esce (finalmente) Bastardo posto, casa editrice Perdisa Pop.
Finalmente perché il libro sarebbe dovuto uscire per il salone del libro 2009, con la Newton compton, ma è storia vecchia, questa.
Nel frattempo mi sono cimentato con altro, un racconto lungo (o romanzo breve) dal titolo “Il monastero della risaia”: una farsa anticlericale travestita da giallo che, presto, dovrebbe uscire per Senzapatria.
Ma in questi giorni ho terminato di riscrivere Di bestemmie e folli amori, il mio sesto romanzo.
Ho cambiato il titolo: Vicolo del Precipizio.
Allora, questo libro è il primo libro che mi viene rifiutato dalle case editrici.
E’ un libro che alterna due piani di lettura. Da un lato ci sono storie contadine toscane (il passato del protagonista), dall’altro c’è la storia di un uomo alle prese con la scrittura (il protagonista è un ghost writer che vive a Torino e che lavora per un agente).
Il finale è da libro giallo.
Le case editrici che lo hanno letto mi contestano soprattutto i discorsi legati alla scrittura (il presente del protagonista).
Il protagonista, infatti, ha un moto di repulsione verso l’editoria in genere, e, nello specifico, verso gli scrittori leccaculo, verso gli agenti che controllano il mercato, verse le case editrici, specie quelle grosse, che il protagonista ritiene incapaci di proporre prodotti editoriali seri: perché ragionano come ragiona un salvadanaio.
Il mio protagonista fa di peggio: mette in discussioine pure se stesso, la sua mente, i suoi tarli.
E questo succede mentre scrive i ricordi legati a Vicolo del precipizio, insomma alla sua infanzia toscana e ai ricordi tramandati, di storie vere e punto vere tramandate di padre in figlio.
Torno sui pareri delle case editrici che lo hanno letto (tre, su trenta invii, effettuati più di un anno fa).
Mi contestano che il mio protagonista contesti un mondo che poi, alla fin fine, sappiamo tutti come funziona.
Stringi stringi chi pubblica dice che l’editoria avrà i suoi lati negativi ma comunque funziona; chi non pubblica si sa quel che dice…
E poi: è anche vero che chi pubblica e vive di scrittura preferisce criticare Berlusconi.
Comunque: io ho scritto quel che mi sentivo di scrivere, senza condizionamenti.
Poi se il libro resta nel cassetto va bene così.